L’Unione Europa non sarà sovrana finché non avrà una sua Costituente

Sempre più spesso e sempre con maggiore disinvoltura leggiamo di un’Europa “sovrana”, titolare essa stessa di una sovranità che gli Stati membri le starebbero progressivamente e inesorabilmente cedendo applicando il funzionalismo, che ha segnato il passo del cammino comunitario sin dalle sue origini. Ma l’Europa ha un solo modo per attribuirsi sovranità: eleggere un’Assemblea costituente sovranazionale.

Sin da quando è nata l’Unione europea abbiamo assistito – a fasi alterne – a una costante e a più riprese stucchevole disquisizione su nozioni che si presumono essere radicate profondamente nel bagaglio concettuale del costituzionalista in particolare e, più in generale, di ogni giurista, politologo, filosofo, ecc.
Tra questi, quello di sovranità può essere considerato una vera e propria pietra miliare sulla quale si fonda il costituzionalismo moderno: sovranità popolare secondo i filosofi francesi del XVIII secolo; sovranità dello Stato secondo la pubblicistica tedesca del secolo seguente; ricostruzioni teoriche che hanno in seguito trovato una loro estrema sintesi, teorica e pratica, nella Costituzione italiana che, come noto, al suo art. 1 dispone che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
È pur vero che prima di approdare agli attuali esiti e svilupparsi, dal punto di vista speculativo, in quelli che sono ormai considerati i suoi capisaldi, tale nozione ha trovato il proprio culmine nelle teorizzazioni di Bodin e Hobbes, passando attraverso la medievalistica, pur essendo già presente, in nuce, persino nelle fonti del diritto romano, come emerge dal notissimo passo di Ulpiano “quod principi placuit legis habet vigorem” (D. 1, 4, 1 pr.).

L’oggetto di queste brevi riflessioni, il significato e il reciproco rapporto tra i termini sovranità e sovranismo, impone di dare per scontata la conoscenza dell’evoluzione e della complessità teorica che hanno accompagnato da sempre il concetto di sovranità, con la consapevolezza che questa semplificazione rischia di non disvelarne appieno l’estrema importanza. Certo, come autorevolmente affermato in dottrina, sovranità “è termine odioso: perché suppone uno stare «sopra» (…) perché lo «star sopra», nel senso connesso alla sovranità, implica che altri, ed altre, stiano in posizione tale da comportare subordinazione, soggezione, obbedienza nei confronti di chi disponga della sovranità”[1].

È anche vero, tuttavia, che da un determinato momento in poi, quando con la pace di Westfalia sono nati ufficialmente gli Stati nazionali, la sovranità ha cessato di essere sinonimo di potere assoluto (imperium) per diventare un qualcosa di diverso: consustanziale al concetto di Stato, senza esaurirsi in esso.
La sovranità, infatti, da una parte ha dovuto abbandonare il monismo tipico dei secoli precedenti (abbracciando la nota teoria dualistica, in virtù della quale vi è separazione tra l’ordinamento internazionale e quelli statuali)[2]; dall’altra, ha fatto proprio l’assunto che il popolo sia la fonte originaria del potere da cui trae la propria legittimazione lo Stato stesso[3].
Essa, insomma, è uno degli elementi necessari dello Stato, che esiste appunto  quando – insieme al popolo e al territorio – è riscontrabile anche il carattere della sovranità. La quale, poi, si declina come sovranità esterna e int…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

Una nuova generazione di femministe russe, oggi quasi tutte riparate all’estero dopo l’inizio dell’invasione in Ucraina, sta svelando attraverso un nuovo uso del linguaggio poetico il trauma rappresentato per le donne dalla violenza maschile, all’interno di una società patriarcale come quella russa che, con il pieno avallo dello Stato, ritiene lo spazio domestico e chi lo abita soggetti al dominio incontrastato dell’uomo. La popolarità della loro poesia e del loro impegno testimonia la reattività della società russa, nonostante la pesante militarizzazione.