Argentina, l’estrema destra avanza in un contesto di crisi economica e ambientale

Siccità, inflazione, debito, tagli alla spesa sociale e mancata erogazione dei servizi stanno strangolando l’Argentina e mettendo in ginocchio la sua popolazione. Come se non bastasse, il suo territorio è sempre più preda di aziende straniere e oggetto di estrazioni minerarie sconsiderate. E nell’anno delle presidenziali l’estrema destra potrebbe sfruttare la situazione a suo vantaggio.
Argentina

Dopo l’ubriacatura collettiva per la vittoria della nazionale ai mondiali di calcio in Qatar dello scorso dicembre – una pausa momentanea dai drammi quotidiani legati alla povertà, all’inflazione, ai programmi di aggiustamento – per il popolo argentino non ci sono stati di certo molti motivi per festeggiare.  

Per la prima volta dal 1991 il tasso di inflazione annuale ha sfondato il tetto del 100%, arrivando a 104,3%: uno dei più alti a livello globale. E in un Paese in cui è addirittura il 40% della popolazione a vivere sotto la soglia di povertà, compresi 6 milioni di bambini, l’aumento del costo dei prodotti alimentari – pari al 7,7% a marzo – ha reso ancor più drammatiche le condizioni delle fasce più vulnerabili. Neppure il programma Precios Justos messo a punto dal governo Fernández per bloccare i prezzi di alimenti e di prodotti per l’igiene personale fino a febbraio è bastato a contenere la crescita del costo della vita, riconducibile in buona parte all’immissione di nuova moneta da parte della Banca centrale, agli effetti della guerra in Ucraina e alle avverse condizioni climatiche.

Ci si è messa infatti, ad aggravare il quadro, anche una lunga siccità, la peggiore degli ultimi 60 anni, con tutti i suoi pesanti effetti economici: raccolti scarsissimi di cereali – un colpo durissimo per un Paese che è il primo esportatore di soia lavorata al mondo e il terzo fornitore di mais – e crollo delle esportazioni agricole, per una perdita stimata di oltre 15 miliardi di dollari. Una siccità aggravata da ondate di calore estremo che si sono protratte fino a metà marzo (l’estate argentina dura solitamente da dicembre a febbraio), con temperature superiori anche di di 8-10°C alla media stagionale. E, a rendere il cocktail più esplosivo, il caldo soffocante si è sposato a Buenos Aires con ripetute interruzioni del servizio di erogazione di luce e acqua, in mezzo alle proteste popolari contro le imprese di distribuzione dell’energia elettrica e le denunce presentate da parte dello stesso governo contro una di esse, l’Edesur, di cui il 70% delle azioni è ancora nelle mani dell’italiana Enel (che tuttavia l’ha messa in vendita nel quadro di una già annunciata cessione di tutti i suoi asset in Argentina). Un effetto delle politiche di privatizzazione promosse (e puntualmente votate) da più di 15 anni dalla popolazione di Buenos Aires.

Nella morsa del debito

Neppure la fine dell’estate, tuttavia, ha cancellato i problemi del popolo argentino, in balìa dei micidiali effetti dei programmi di aggiustamento imposti dal Fondo monetario internazionale nel quadro dell’accordo raggiunto con il governo Fernández, all’inizio del 2022, sulla ristrutturazione del debito di oltre 44 miliardi di dollari contratto nel 2018 durante la presidenza di Mauricio Macri. Con tutte le conseguenze in termini di aumento del precariato, salari al di sotto della soglia di povertà per la metà dei lavoratori, crescita delle disuguaglianze sociali e piani assistenziali che non bastano neppure a coprire le necessità di base. Preceduto, accompagnato e seguito da feroci polemiche, l’accordo – che prevedeva tra molto altro obiettivi di riduzione graduale del deficit primario, stabilito per il 2022 nel 2,5% del Pil, per il 2023 nell’1,9% e per il 2024 nello…

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