Le sfide con cui si confronta oggi la formazione non sono diverse da quelle che interessano la formazione professionale. È vero però che la loro urgenza interroga quest’ultima in un modo ancora più rilevante, per una ragione del tutto evidente: quando si parla di formazione professionale si parla anche sempre di una formazione orientata a qualcosa che non è principalmente la formazione di sé nel senso del libero e armonico sviluppo dello spirito umano – che è poi il concetto schilleriano e goethiano di Bildung: lo spirito che si affranca dall’imperio dell’utilità e della necessità, per dare forma alla libera verità di sé stesso.
Laddove si parla di formazione professionale, siamo piuttosto in un campo dove ciò a cui si mira principalmente è appunto la dimensione del lavoro, cioè il piano pratico-empirico delle abilità che permettono a una qualsiasi attività di “fare economia” e di “stare sul mercato” in modo consapevole e funzionale. Ossia di partecipare attivamente alla catena della produzione del valore.
Domande scomode
Tuttavia, possiamo chiederci questo: quando siamo nel quadro di una emergenza inaudita (più di una crisi: una catastrofe) che incrina il rapporto tra Civiltà e Natura, poiché per la prima volta nella storia dell’umanità le nostre risorse tecno-culturali appaiono improvvisamente disfunzionali alla regolare e pacifica rigenerazione del sistema delle risorse naturali e del suo equilibrio; quando l’attività dell’uomo risulta del tutto incompatibile con l’attività della natura, anche nel caso della sedicente leggerezza immateriale delle attuali tecnologie elettroniche ultrarapide e “pulite”, che sappiamo invece avere alle spalle processi estrattivi intollerantemente pesanti e insostenibili dal punto di vista sia ambientale sia sociale; ebbene, che cosa ci dice questo “disallineamento” quanto al pacifico rapporto di alleanza tra formazione ed economia? Possiamo ancora affermare che nel campo della professionalizzazione questo rapporto debba svilupparsi da sé? Possiamo ancora pensare – lo dico un po’ brutalmente – a una formazione professionale acriticamente orientata ai sacrosanti bisogni di una economia avvinghiata alle dinamiche umorali e autoreferenziali di un mercato che si percepisce come una variante desacralizzata dell’Assoluto, con la sua indiscutibile rilevanza e incidenza su tutto l’insieme sociale? Per essere diretti e tagliare corto: di quale formazione professionale abbiamo bisogno oggi, per sostenere quale modello di economia e per affermare quale idea di mercato?
Che la formazione professionale debba continuare a essere un servizio, nel senso più nobile del termine (come offerta di prestazioni qualificate), non è in discussione. Il punto è: al servizio di chi, di quale progetto di società, di quale idea di cittadinanza, di quale concezione della Natura?
Proviamo a tenere ora sullo sfondo queste domande, per riflettere invece sul tema della critica, visto – che se nuove condizioni richiedono sempre nuovi aggiustamenti più o meno radicali – è proprio della critica ciò di cui abbiamo bisogno. Ma anche l’esercizio critico per potersi legittimare deve contare su alcuni presupposti. E non è affatto detto che oggi essi siano ancora dati, come cercherò di argomentare qui di seguito.
Addomesticamento della critica
L’affermazione a partire dai primi anni Ottan…