Dove va Cuba?

Il futuro di Cuba non dipende soltanto dal suo rapporto con gli Stati Uniti, dalle conseguenti misure di embargo e dall'influenza degli esponenti della comunità cubana negli USA. La transizione verso un nuovo sistema politico, sociale ed economico dipende dalle idee politiche che la guideranno ed è per questo importante oggi ridefinire cosa significhi essere "di sinistra".
Cuba

Cuba sta vivendo una crisi che si avvicina a quella del Periodo Speciale[1] degli anni Novanta e non sappiamo come e quando finirà. Anche se sembra improbabile vista la situazione all’inizio del 2023, è possibile che l’economia esca dalla crisi, magari con l’aiuto di un’industria turistica di successo (ipotizzando un notevole calo del tasso di infezione globale da Covid-19), eventualmente integrata dalle entrate dovute a un aumento del prezzo internazionale del nichel e da un notevole incremento dei servizi medici forniti a vari Paesi, nonché dalla commercializzazione di biotecnologie e prodotti farmaceutici prodotti sull’isola. Ciò favorirebbe le piccole e medie industrie e i lavoratori autonomi concentrati nella produzione e nel commercio di beni e servizi destinati al consumo interno della popolazione. Se così fosse, i cubani finirebbero per assistere alla creazione di una nuova borghesia composta da una parte da militari in uniforme, attraverso le aziende commerciali controllate dalle forze armate, riunite nel gruppo GAESA[2], particolarmente attivo nel turismo internazionale, e, dall’altro lato, dai nuovi proprietari privati della media industria e da quei piccoli imprenditori di successo, come i proprietari di case e appartamenti affittati ai turisti a prezzi molto lucrosi. Ovviamente, qualsiasi normalizzazione delle relazioni economiche con gli Stati Uniti aumenterebbe significativamente queste possibilità, data l’importanza degli investimenti statunitensi, in particolare quelli del capitale cubano-americano[3] disposto a investire sull’isola.

Considerando ciò che è accaduto in molti Paesi ex socialisti, così come in altre nazioni, possiamo supporre che questi cambiamenti accentuerebbero molto probabilmente la disuguaglianza tra “vincitori” e “perdenti”, data l’assenza di movimenti sociali indipendenti che difendano gli interessi dei “perdenti”. Le politiche statali incoraggerebbero i “vincitori”: il turismo e le industrie che riforniscono gli alberghi e i ristoranti che servono i turisti, così come le biotecnologie, il tabacco e le industrie estrattive come il nichel. Verrebbero invece trascurati e ignorati i “perdenti”: le numerose imprese manifatturiere non “competitive”, ciò che resta dell’industria dello zucchero e l’agricoltura in generale.

Lo stato degli investimenti e della sicurezza sociale, già gravemente deteriorato e con bilanci ridotti, si deteriorerebbe ulteriormente. Ciò mobiliterebbe le nuove classi sociali, come la borghesia e la classe media, che, insoddisfatte del progressivo deterioramento dei servizi medici ed educativi statali, chiederebbero o, comunque, farebbero pressione per la loro privatizzazione. Questo porterebbe, nel caso della medicina, alla creazione di un servizio simile allo statunitense Medicaid[4] (un servizio pubblico molto mal gestito) per servire la maggior parte dei cubani poveri. Come è accaduto negli Stati Uniti, questa divaricazione del servizio medico tra quello destinato ai poveri e quello per la classe media e alta indebolirà notevolmente il sostegno politico per la costruzione e il mantenimento di un servizio sanitario pubblico che serva in modo decente e competente…

Rifugiati siriani

Tutti mercanteggiano sulla pelle dei rifugiati siriani

Con la partecipazione al recente meeting di Gedda il regime di Bashar al-Assad ritorna sulla mappa delle relazioni internazionali. Si apre così la questione del rimpatrio per milioni di rifugiati siriani, che si aggiunge a quella della confisca delle loro case delle loro terre.