Vado subito al cuore della questione, che è anche quella da cui parte il vostro libro: in che modo gli algoritmi condizionano le nostre vite?
Nel nostro libro non sosteniamo una tesi “apocalittica”, nel senso che non sosteniamo che gli algoritmi condizionino i nostri comportamenti, privandoci completamente della nostra autonomia, automatizzando i nostri gusti culturali o le nostre opinioni politiche. Gli algoritmi condizionano le nostre vite perché sono endemici, “banali” e pervasivi, cioè sono ormai un intermediario stabile per molte delle azioni che compiamo nella vita quotidiana. Gli algoritmi sono dappertutto: quando selezioniamo un percorso stradale tramite Google maps, quando scegliamo un contenuto culturale (libri, film, musica, podcast) attraverso una piattaforma di streaming digitale, quando lavoriamo come freelance tramite Upwork, quando guardiamo un video su YouTube, TikTok o Instagram, quando facciamo un acquisto online, quando cerchiamo un volo o un appartamento in affitto o un ristorante su Tripadvisor. Gli algoritmi governano anche molte delle nostre relazioni con la pubblica amministrazione o con istituzioni bancarie e finanziarie. La governance algoritmica è endemica, pervasiva e il nostro incontro con essa è quotidiano. Quindi le scelte di design ed economiche di chi sviluppa questi algoritmi influenzano i nostri comportamenti, ma questo non vuol dire che siamo completamente passivi di fronte a queste scelte. Anzi, nel libro mostriamo come le persone, nella vita quotidiana, oscillino tra momenti di “alleanza” con gli algoritmi e momenti di “ribellione”.
Alla luce di quello che abbiamo appena detto, perché è necessario ribellarsi agli algoritmi? In che cosa differiscono le due categorie di algoritmi da voi delineate, algoritmi di oppressione e algoritmi di resistenza?
Gli stessi algoritmi che Safiya Noble chiama “algoritmi di oppressione” possono diventare algoritmi “di resistenza”. Il libro della Noble affronta il rapporto tra motori di ricerca e pregiudizi discriminatori. Noble sostiene che gli algoritmi di ricerca sono razzisti e perpetuano i problemi della società perché riflettono i pregiudizi negativi che esistono nella società stessa e nelle persone che li creano. In questi anni molti altri studiosi hanno fatto emergere come gli algoritmi in diversi campi, non solo la ricerca online, siano discriminatori. Ad esempio, nel caso dei gig workers da noi …