Iniziamo la nostra chiacchierata con una domanda a carattere principalmente emotivo. Un’artista lavora una vita, impiega tanti anni per formarsi, raggiungere la sua cifra stilistica, condivide con il pubblico sogni, paure, ansie, speranze e poi, di punto in bianco, si trova nel mezzo di una rivoluzione digitale che sembra destinata a spazzare via tutto questo. Come ci si sente a dover affrontare questo cataclisma?
Katja Centomo: Proprio qualche giorno fa, a un amico “non creativo” che mi mostrava un’illustrazione da lui prodotta con Midjourney, e che insisteva sulla perfezione, sulla bellezza, sulla raffinatezza del risultato ottenuto, cercavo di spiegare il mio stato d’animo osservando la sua opera.
Oggi posso definirmi scrittrice, ma il mio percorso di formazione è cominciato con il disegno e, prima di concretizzarlo nella gestione di uno studio editoriale, ho testato la gavetta di tutte le figure professionali possibili del fumetto e dell’illustrazione. Ho fatto la colorista, la letterista, la grafica, la disegnatrice di libri per bambini e di etichette di superalcolici…
In merito all’immagine che l’amico esibiva con orgoglio, io, a testa bassa e cuore gonfio, avrei saputo descrivere l’evoluzione artistica a cui l’Intelligenza Artificiale aveva attinto per ottenerla. Il modo modernissimo di usare luci e contro-luci, la palette che accostava le tinte del lilla al giallo acido, l’ibridazione del manga con il fumetto occidentale, la contaminazione narrativa tra Akira, Blade Runner e Benjamin Lacombe. Il mio amico non sapeva nulla di tutto questo, aveva solo impartito tre linee guida (tipo “Cyberpunk”, “donna pallida” e “post-apocalisse”) e sentiva quell’immagine come sua. In buona fede, non vi leggeva il risultato di un’evoluzione stilistica, ottenuta miscelando l’esperienza di generazioni di disegnatori, coloristi e narratori, che si ispirano a chi li ha preceduti e ispirano chi viene dopo, che costruiscono un immaginario dinamico e pulsante, un bacino di scambio di nozioni, emozioni, conoscenze e soprattutto fatica. La somma di tutte le singole fatiche, il cumulo degli anni di apprendimento di centinaia di autori per imparare a tenere saldo un pennello, rendere perfetta una sfumatura, vibrante una frase, veloce un’emozione. Dedizioni e sacrifici che, poggiando gli uni sugli altri, costruiscono stili e correnti, che si innalzano, si superano e vanno avanti. È nella scalata di queste torri creative che il nostro cervello si allena, la visione si amplia, il sapere si allarga, seguendo il ritmo lento e profondo di questa evoluzione. Piano. Prendendosi il tempo necessario ad assimilare, capire, fare proprio, compiere al momento giusto il passo avanti successivo.
In quell’immagine vedevo tutto questo, avrei saputo citare i nomi degli artisti che avevano contribuito a creare quel modo di tagliare la luce, di trattare l’anatomia, di modificare la figura umana e mi sentivo male. Midjourney tutto questo lo ignora. Registra le indicazioni, cerca i riferimenti e mette tutto insieme in un secondo. Non sa a chi sta prendendo, cosa sta utilizzando, perché sta usando uno stile piuttosto che un altro. E tanto meno lo sa chi gli impartisce gli ordini. Questo mi spaventa. Non il fatto di usare l’Intelligenza Artificiale per lavorare meglio, sfruttandone i vantaggi come si è sempre fatto con i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia: temo fortemente il rischio di perdere la cognizione dei mezzi che andiamo a utilizzare.
Che male c’è nel rielaborare l’opera di altri? L’amico mi faceva notare che anche il nostro cervello attinge alle creazioni altrui: il nostro occhio ve…