Nancy Fraser oltre Marx, il capitalismo che divora sé stesso

Nel suo recente libro "Capitalismo cannibale", la filosofa e teorica femminista riflette sulla natura del capitalismo oltre Marx. Ne viene delineato il ritratto di un sistema auto-fagocitante, la cui possibile fine nel presente saggio viene immaginata mettendo a confronto tre diverse ipotesi, tra possibili speranze e ingiustificati catastrofismi a priori.
Capitalismo

Nancy Fraser, tra le più autorevoli teoriche femministe, ha elaborato una concezione ampliata del capitalismo, in grado, a suo parere, di inglobare tutte le istanze emancipatorie sorte dopo Marx. Questa concezione, presentata in vari abbozzi negli scorsi anni, viene adesso sistemata in un libro appena uscito: Capitalismo cannibale. La illustrerò brevemente, per poi soffermarmi sulla sua maggiore implicazione: la tesi secondo cui viviamo in un sistema sociale che sta fagocitando sé stesso.

Nancy Fraser e il duplice carattere del capitalismo
Per Marx, nel capitalismo il surplus economico viene appropriato da chi detiene il controllo delle organizzazioni economiche, le imprese, e il potere sociale spetta a chi si appropria del surplus economico. Siamo dunque in una società nella quale prevale la fonte economica del potere: massimizzare il profitto coincide con l’espansione della ricchezza accumulabile; a sua volta, essendo una società nella quale tutte le principali relazioni sociali passano dai mercati, massimizzare il capitale equivale a disporre di un potere universale, in grado di intervenire in qualsiasi sfera istituzionale. Nancy Fraser, pur ritenendo importante questa definizione, considera storicamente necessario formulare una concezione più estesa. A suo avviso, Marx ha il merito di essere sceso al di sotto del livello fenomenico dello scambio mercantile, rilevando che al cuore del capitalismo vi sono le imprese, organizzazioni gerarchiche nelle quali qualcuno comanda – chi mette i soldi – e molti obbediscono (quelli il cui tempo-di-lavoro è usato discrezionalmente da chi lo ha acquistato).

Tuttavia, secondo Fraser, questo modello è inadeguato, poiché Marx non riesce a dare conto del duplice carattere del capitalismo. Per un verso, finanziando e controllando l’impresa, il capitale sfrutta i lavoratori; ma per l’altro verso, accaparrandosi risorse esterne ai mercati, esso trae vita da continui atti di spoliazione. Più esattamente, è l’espropriazione coercitiva fuori dall’impresa a fondare lo sfruttamento economico-istituzionale all’interno dell’impresa. Questa confisca forzata attinge a quattro grandi aree socio-ambientali, che ne risultano stravolte e a rischio di distruzione: le famiglie e le comunità forniscono lavoro di cura non pagato; gli ecosistemi sono depredati di risorse energetiche e naturali; i territori periferici vengono colonizzati; infine, gli Stati estraggono imposte e tasse dalla popolazione per offrire i beni pubblici senza cui i mercati non funzionerebbero.

Ai suoi esordi il capitalismo teneva sostanzialmente separati lo sfruttamento contrattuale e l’espropriazione forzata. Ciò ben si riflette nell’analisi di Marx, che discorre di una “accumulazione originaria” violenta, alla quale segue e si contrappone l’accumulazione ordinaria iscritta nella logica delle transazioni mercantili. Adesso invece i due fenomeni, suggerisce Fraser, si presentano largamente intrecciati: moltissime persone, immerse in una condizione di precarietà, sono sfruttate sul lavoro e, attraverso la tagliola del debito, vengono espropriate nel consumo, nei Paesi del Nord così come in quelli del Sud. In tal senso, sostiene Fraser, il capitalismo odierno è un ordine sociale che divora sempre più le fonti da cui attinge la propria ricchezza. Esso procede come un organismo che digerisce sé stesso: essendo malnutrito, prima metabolizza le riserve adipose, poi i muscoli e altri tessuti, fino a morire di inedia. Soffrendo altresì di problemi all’apparato escretore, l’organismo accumula anche tossin…

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