Adam Smith, padre della moderna scienza economica, non ammetteva che l’economia potesse porsi al di fuori dell’etica, perché l’etica non è un attributo occasionale e spesso eccezionale dell’economia, ma è il quadro generale all’interno del quale devono collocarsi le scelte economiche: dove non c’è etica non c’è economia.
Lungo la Storia i sistemi religiosi hanno inciso nella dimensione economica definendo i confini di ciò che è del singolo e lo statuto di ciò che è comune. Ne è derivata l’elaborazione di etiche economiche in cui credenze, mentalità e valori hanno variamente influenzato l’azione di individui e collettività. La condizione di povertà e l’acquisizione di ricchezza sono state viste, a seconda dei contesti, come indici di santità, scandali da estirpare o paradossalmente – soprattutto nel caso della ricchezza – come segno di benedizione da parte della Provvidenza: fenomeni umani come San Francesco e la sua critica del Papato sul tema della povertà hanno scolpito tali evidenze nella Storia. Tre anni fa è stato il 500esimo anniversario della Riforma protestante, eppure la tesi di Max Weber[1] – secondo cui ci sarebbe un forte nesso tra etica protestante e spirito del capitalismo – sembra avere ancora una certa validità. La mentalità religiosa calvinista costituì una pre-condizione culturale nell’Europa di allora per la formazione della mentalità capitalista. Però il termine capitalismo associato ai valori calvinisti del XVI secolo è improprio, dato che il sistema capitalistico va riferito correttamente alla prima rivoluzione industriale della metà del XVIII secolo.
Ma veniamo a noi. Osservando la situazione dalla crisi finanziaria del 2008 in poi, possiamo ancora trovare la conferma della tesi di Max Weber. Italia, Spagna e Portogallo, i Paesi cattolici del Sud, sono particolarmente indebitati, mentre va decisamente meglio al Nord protestante. Emmanuel Macron, prima di diventare Presidente della Repubblica francese ma quando era già ministro dell’economia, parlando della gestione della crisi Europea sostenne che “c’è una specie di guerra di religione tra l’Europa del nord calvinista, che non discolpa i peccatori, e un’Europa del sud cattolica, che vuole lasciarsi tutto alle spalle”. Quello che affermava Weber sull’influenza della religione è ancora oggi tra i temi più discussi della sociologia.
Lavoro ed etica religiosa
Max Weber credette di spiegare quali fossero le origini dello spirito del capitalismo (l’aspirazione a uno sviluppo sempre più marcato, a una maggiore produttività) rintracciandole nella Riforma protestante, ma non in quella di Martin Lutero bensì in quella di Giovanni Calvino e nella sua concezione del lavoro. Fu Calvino, che era più interessato alla salvezza dell’anima che all’economia, ad elevare il lavoro a un livello religioso: chi diventa ricco sulla terra gode con ogni evidenza del favore di Dio. Weber riconobbe che il calvinismo esortava le persone a una condotta di vita ascetica, quindi il denaro non va sperperato ma risparmiato, e così costituirà il capitale. Dal Cinquecento in poi si concretizzarono anche altre pre-condizioni per l’economia di mercato capitalista, come l’afflusso di oro dalle Americhe che determinò un subitaneo aumento dei prezzi, che arrivarono a triplicarsi. Ma se ciò impoverì alcune classi sociali che vivevano di redditi…