Aspartame possibilmente cancerogeno, come si arriva alla decisione

L'aspartame è stato recentemente dichiarato come possibile sostanza cancerogena dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e più in particolare dalla IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro). Ma qual è il procedimento scientifico che porta una sostanza a essere considerata tale? Diventa importante capirlo per evitare sia allarmismi sia sottovalutazioni, comprendendo la complessità di simili processi per affidarsi alla comunità scientifica rifuggendo le tentazioni di giudicare in prima persona.
aspartame

La recente decisione dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), e più in particolare della IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), di considerare l’aspartame come possibile cancerogeno è destinata ad avere ampia risonanza. Non solo per i presumibili allarmismi che seguiranno, come comunemente accade in tutte le storie dove un oggetto comune e ampiamente utilizzato diventa improvvisamente “tossico”, ma anche per le implicazioni economiche di questa scelta. Si tratta in parte di un copione già visto più e più volte (non è difficile tornare con la memoria a quando la carne rossa seguì un simile destino) e che fa leva da un lato sulla complessità dei meccanismi per i quali una sostanza entra nel novero di quelle che “fanno male”, dall’altro su meccanismi innati di paura che questi argomenti sollevano nel pubblico.

Ad essere precisi, più che a una sostanza bisognerebbe riferirsi a un agente, concetto che permette di includere i molti fenomeni che hanno effetto cancerogeno anche senza essere assunti (come ad esempio lavorare in fonderia).

Non è però così difficile capire come mai un agente entra in una lista che ha tra le parole del titolo “cancerogeno”, e soprattutto quali sono le precauzioni sensate che i consumatori possono adottare per evitare rischi ma senza minimizzare né sovrastimare.

Si può dire che esistono tre livelli gerarchici di decisioni che le sostanze affrontano prima di essere dichiarate pericolose da una grande agenzia internazionale.

Il primo è quello dei tanti gruppi di ricercatori che lavorano nelle università e negli ospedali di tutto il mondo, i quali esaminano incessantemente gli effetti sulla salute di praticamente ogni agente con cui si può entrare in contatto sul nostro pianeta in studi cosiddetti epidemiologici. Dal punto di vista concettuale, il loro lavoro è semplice: vedere se in presenza di una certa sostanza gli organismi si ammalano prima o di più di una certa malattia. Ci sono più problematiche concomitanti che però da subito trasformano questa semplice intenzione in un’impresa abnorme. Innanzitutto, l’insieme delle “malattie” è qualcosa di davvero enorme. Alcune si sviluppano subito, altre possono metterci decenni, come nel caso di molti tipi di cancro. I pazienti poi non sono in numero certo infinito, molto spesso il campione di casi su cui basare le evidenze è limitato. Infine, i pazienti stessi presentano una complessità di fattori che rendono difficile evidenziare causa ed effetto. Se ho una paziente con un cancro alla…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.