La crisi di Evergrande fra finanza e speculazione

La crisi che ha travolto il gruppo immobiliare cinese Evergrande nelle ultime settimane è stata spesso associata a quella che, con il fallimento della banca Lehman Brothers, ha provocato il tracollo finanziario del 2008. Ma, se proprio si vogliono cercare analogie, queste vanno trovate con la crisi finanziaria del Sud-est asiatico del 1997.
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La crisi finanziaria del sud-est asiatico del 1997

(Zhuhai, CINA) – Nel 1997 una crisi finanziaria interessò il Sud-est asiatico. Paesi come la Corea del Sud, le Filippine, l’Indonesia, la Malesia e la Tailandia, che sembravano rispettare in pieno le indicazioni del Fondo monetario internazionale (relative principalmente alla riduzione del ruolo del settore pubblico e al rafforzamento di quello del mercato) furono coinvolte in una crisi che indusse al precipitoso ritiro dei capitali a breve termine che vi erano entrati in precedenza. La Cina ne rimase indenne, principalmente perché, temendone gli effetti speculativi e riconoscendo che non potevano essere impiegati per progetti di investimento a lungo termine — gli unici che possono permettere la crescita di un Paese —, non aveva permesso l’ingresso di quei capitali.

Fra le ragioni della crisi vi era il fatto che mentre i bilanci pubblici erano in ordine e l’inflazione sotto controllo — gli unici aspetti che sembravano interessare il Fondo monetario internazionale — i bilanci privati non lo erano affatto. I finanziamenti alle imprese, infatti, avvenivano in maniera opaca attraverso quello che fu poi definito crony capitalism (il “capitalismo dei compari”), per cui il credito non veniva concesso ai progetti più meritevoli, ma a quelli promossi dagli amici e dagli amici degli amici. Questo avveniva anche quando le vendite soffrivano, causando l’accumulazione di forti squilibri nei bilanci delle imprese, squilibri che alla fine condussero alla crisi. Inoltre, la struttura produttiva di quei Paesi era caratterizzata dalla presenza di imprese “conglomerate”, vale a dire grandi entità economiche che intrecciavano interessi nei settori economici più diversi, ma che proprio per questo erano più difficili da gestire.

La crisi del 1997 rappresenterà la prova generale di quella che si sarebbe manifestata a livello mondiale un decennio più tardi, quando si dovette prendere atto che la fiducia nelle proprietà auto-equilibratrici dei mercati, e in particolar modo di quelli finanziari, buoni per definizione e da preferire a qualunque forma di intervento regolamentare pubblico, era mal riposta (come del resto John Maynard Keynes aveva ripetutamente avvertito).

La crisi finanziaria mondiale del 2008/09

La crisi finanziaria del 2008/09 trae origine dai famosi mutui subprime, quelli concessi a debitori con merito creditizio subottimale, i quali rischiano di essere inadempienti alle prime difficoltà che …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.