Caustica come Dorothy Parker, introspettiva come Emily Dickinson: Patrizia Cavalli è uguale, però, solo a sé stessa. La sua poesia dallo stile inconfondibile, ironica e musicale, piuttosto ruvida (in superficie) e sensibile (nel profondo), evita lo sfogo lirico. Dal pensiero veloce e concentrato, arguto e incisivo, è autrice mirabilmente parca ma mai ermetica né sibillina. Con i suoi versi, torna al significato – letterale e metaforico – di Poesia: fare, produrre, fabbricare (dal greco ποίησις – poiésis, derivazione di ποιέω – poiéo) senza giudizio alcuno sull’esito finale, seppur bisognosa di pubblico e di amicizia. Gioca seriamente con la vita e quindi con la scrittura (e al di là di questa), contro qualsiasi ordinarietà.
Ne tracciano un ritratto intimo e libero Annalena Benini e Francesco Piccolo con Le mie poesie non cambieranno il mondo, documentario (prodotto da Fandango e Rai Documentari, al cinema dal 14 settembre) presentato in anteprima mondiale a Venezia il 5 settembre, all’interno della 20esima edizione delle Giornate degli Autori, nella sezione Notti Veneziane. La poetessa amata da Elsa Morante che per prima legge i suoi componimenti, perché voglio vedere come sei fatta, per poi affermare che Oh Patrizia, sono felice, sei una poeta! – a lei è dedicato il volume omonimo che ne contiene il componimento (1974), da cui prende il titolo il documentario stesso – incarna la modernità anche pop della poesia italiana contemporanea, l’amore per le parole e per la performance.

Patrizia Cavalli, schietta e teatrale, è un aedo dei nostri tempi, che declama, canta e recita accompagnata da una chitarra o da uno xilofono che lei stessa tintinna, parlando di sé. Il documentario allora non è solo luogo di riflessione estetica sulla (e della) realtà ma – con la scelta consapevole e necessaria del tema della Poesia – anche il fine per ricordare che questa (sinonimo di arte) non è, come spesso si crede, solo un mezzo: il film, a poco più di un anno dalla sua scomparsa (Roma, 21 giugno 2022), ripercorre così la storia di una donna libera che scappa dalla provincia (nasce a Todi nel 1947) e dalle sue regole per diventare regina di sé stessa, avanti e indietro nel tempo, passando dai capelli corti, ispidi e radi per la malattia, al caschetto iconico, netto, pieno e vigoroso, e viceversa. Con il talento, l’innocenza e l’umorismo che la contraddistinguono, insieme al lessico familiare e la sintassi moderna. Lo schermo restituisce allo spettatore la carnalità, l’indipendenza e il calore delle poes…