Il linguaggio è definito come la capacità di trasmettere, mediante dei suoni, dei significati diversi dai suoni stessi; è perciò un sistema di comunicazione simbolica, frutto di una convenzione che è condivisa fra chi emette il segnale e chi lo riceve. La sua efficacia dipende dal numero di foni – cioè di unità fonologiche – di cui dispone: quanti più sono, tanto maggiore è il numero delle combinazioni che si possono ottenere e, quindi, maggiore è anche il numero di parole che possono essere usate per dare una veste sonora a diversi significati. L’efficacia del linguaggio dipende anche dalla disponibilità di strumenti che, seguendo delle regole stabilite, consentano di organizzare le parole in frasi e poi, gerarchicamente, in strutture più articolate.
L’ enorme complessità del linguaggio umano è legata proprio all’elevato numero di foni che l’apparato fonatorio è in grado di emettere e all’ampiezza delle aree del cervello che li organizzano in frasi di senso compiuto. Proprio per questa strettissima dipendenza dall’anatomia, gli studi sulla sua origine e sulla sua evoluzione sono stati condotti prendendo principalmente in considerazione l’origine della sua fonologia e della sua sintassi. Gli aspetti linguistici costituiscono, però, solo la punta dell’iceberg dell’acquisizione di questa componente fondamentale delle nostre capacità cognitive; una punta importante che, tuttavia, è solo una conseguenza dei fenomeni biologici che ne sono a fondamento e che ne sono responsabili. Gli aspetti linguistici sono, infatti, solo un ultimo nato nel lunghissimo percorso evolutivo durante il quale l’interazione dei nostri antenati con l’ambiente li ha dotati di quelle strutture di base su cui, ben più tardi, ha potuto evolversi il recentissimo linguaggio umano.
Quale è stata l’origine del linguaggio? Come si è evoluto? Come e perché il nostro è diventato tanto complesso?
Cercare di scoprirne le origini non è stato facile poiché, a differenza di altri tratti biologici, dipende da strumenti nervosi e anatomici che non fossilizzano e, non lasciando tracce, non consentono di studiarne l’evoluzione. È impraticabile anche la strada del semplice confronto con altre specie a noi imparentate dato il loro numero assai modesto e la modestia della loro comunicazione vocale.
Il punto di svolta nello studio dell’origine del nostro linguaggio è stata la scoperta che il malfunzionamento di un gene, FOXP2, oltre a causare alterazioni nel linguaggio umano aveva conseguenze negative anche sulla comunicazione degli uccelli canori. Poiché la linea evolutiva che ha portato a quelle specie si è separata dalla nostra circa 200 milioni di anni fa, si è ritenuto improbabile che i loro circuiti nervosi sotto il controllo del gene FOXP2 fossero omologhi ai nostri cioè che discendessero tutti da una unica antica organizzazione neuronale comune; piuttosto essi dovevano esse analoghi ai nostri, cioè il frutto di una convergenza evolutiva. Un fenomeno biologico ben noto, quello per intenderci che fa sì che le specie di rettili, di mammiferi e di uccelli che si sono trovati a vivere nell’ambente marino lentamente abbiano acquisito caratteristiche anatomiche analoghe a quelle dei pesci. La convergenza evolutiv…