Il mito dell'”embargo dell’OPEC” e altre storie dal primo shock petrolifero

Tra ottobre e dicembre 1973 il prezzo internazionale di riferimento del petrolio greggio quadruplicò, creando quello che nei Paesi importatori è ricordato come "shock petrolifero”. Una vulgata dura a morire vuole che lo shock fu il frutto di una riduzione dei ritmi estrattivi e di un embargo ai danni degli Stati Uniti, due mosse attribuite all'OPEC. Recenti studi dimostrano che la ragione fu invece la decisione dei governi OPEC di quadruplicare i loro introiti fiscali dall'esportazione di una materia prima di cui detenevano virtualmente il monopolio collettivo. Una decisione che va interpretata nella più ampia cornice del completamento delle promesse della decolonizzazione.
Embargo Opec

“Finita? Era forse finita quando i tedeschi bombardarono Pearl Harbor?”
John “Bluto” Blutarsky (alias John Belushi), 1978


L’assurda domanda retorica riportata qui sopra è una delle “perle” che, per più di quattro decenni, hanno garantito ad Animal House di John Landisla sua ben meritata fama di capolavoro del cinema comico. In questi giorni, in cui ricorrono cinquant’anni dallo “shock petrolifero” del 1973, leggeremo spesso frasi altrettanto assurde, che attribuiranno il quadruplicamento dei prezzi del petrolio che si verificò tra ottobre e dicembre di quell’anno a un fantomatico “embargo dell’OPEC” il cui grado di realtà è, per l’appunto, paragonabile a quello del bombardamento tedesco di Pearl Harbor. Queste frasi non susciteranno le risate che dovrebbero suscitare. Inserite all’interno di interviste, editoriali e articoli di approfondimento internazionale, sembreranno comunicare importanti verità e serviranno ad argomentare ragionamenti apparentemente seri su politica estera e politica energetica. Le righe che seguono invitano anzitutto a considerare il mito dell'”embargo dell’OPEC”, e l’idea delle origini dello shock che esso sottende, per quello che sono: rappresentazioni del passato fondate su relazioni molto flebili con la realtà che pretendono di raccontare. La parte conclusiva di questa riflessione cercherà di mostrare che la mancata comprensione degli eventi di cinquant’anni fa può riverberarsi negativamente sulle nostre risposte ad una serie di domande ancora molto attuali.

Tra ottobre e dicembre 1973 il prezzo internazionale di riferimento (posted price)del petrolio greggio passò da circa 3 a quasi 12 dollari al barile (da circa 20 a circa 80 dollari per barile in dollari attuali). Rispetto ai loro valori storici precedenti, i prezzi restarono relativamente alti per tutto il decennio (prima di subire un’ulteriore impennata nel 1979-81 e poi un crollo a metà degli anni Ottanta). Nei Paesi importatori di petrolio (inclusa ovviamente l’Italia), l’aumento dei prezzi della fine del 1973 è ricordato come “shock petrolifero” o “crisi petrolifera” (nei Paesi esportatori è invece celebrato come “la rivoluzione petrolifera”). Una vulgata dura a morire vuole lo shock come frutto di una riduzione dei ritmi estrattivi e di un embargo ai danni degli Stati Uniti, due mosse attribuite all’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), che avrebbe così cercato di esercitare pressione a favore della causa araba nel contesto della Q…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.