Guerra in Ucraina, il ruolo dello sport

Come ci ha ricordato la vicenda della sciabolatrice ucraina Ol'ha Kharlan e della russa Anna Smirnova ai Campionati mondiali di scherma di Milano, in ambito internazionale lo sport assume un ruolo che va al di là del semplice confronto agonistico. A maggior ragione se gli atleti coinvolti appartengono a Paesi impegnati un conflitto. In quello ucraino lo sport ha fin da subito svolto un ruolo rilevante in ambito politico, militare e mediatico, includendo anche nomi di primissimo piano. In questa sede analizzeremo il fenomeno da vari punti di vista, accorgendoci di come non sempre gli atleti siano elementi privilegiati della società al riparo dai conflitti che l’attraversano.
Guerra in Ucraina e sport

Milano, 27 luglio 2023. È il primo turno dei Campionati mondiali di scherma e Ol’ha Kharlan lo supera come da pronostico, battendo per 15-7 la rivale. D’altronde la sciabolatrice – che vanta quattro medaglie olimpiche, quindici mondiali e ventuno continentali – di successi ne ha ottenuti di ben più prestigiosi nell’ambito della sua gloriosa carriera. Kharlan non conosce solo l’arte della scherma ma anche il suo regolamento e le sue consuetudini, che prevedono di stringere la mano alla rivale al termine della contesa. Ciononostante la mano alla sua avversaria non la porge allungando soltanto la sciabola e ciò susciterebbe enorme stupore se non fosse per il fatto che la nazionalità della sua avversaria, la russa Anna Smirnova, poteva far presagire un forte atto dimostrativo, tenendo anche conto del fatto che quella era la prima occasione in cui un atleti russi e ucraini tornavano a fronteggiarsi dallo scoppio del conflitto su vasta scala. Smirnova per protesta è rimasta quasi un’ora seduta in pedana reclamando il gesto di fair play e quello è stato solo l’inizio di un caso diventato ben presto anche diplomatico, in cui è intervenuto pure il Ministro degli esteri ucraino Mykhailo Podolyak, e – al di là di squalifiche e riammissioni – ciò che interessa in questa sede è notare una volta di più come in ambito internazionale lo sport non si limiti soltanto al confronto agonistico. A motivare la scelta nello specifico è stata comunque la stessa Kharlan attraverso un post su Instagram:

“Lo sport non può restare fuori dalla politica quando è in corso una grande e cinica guerra. Insieme al gruppo mediatico 1+1, al Ministero degli Affari Esteri dell’Ucraina e ai rappresentanti della comunità sportiva, esorto il CIO e il suo Presidente Thomas Bach a sospendere gli atleti russi e bielorussi dalle Olimpiadi del 2024. Sotto la bandiera bianca non puoi nascondere Bucha, Irpin, Mariupol’, Kramatorsk, Kremenchuk, Vinnytsia, Dnipro, la mia nativa Mykolaiv e tutte le città pacifiche che sono sotto tiro da parte della Russia. I terroristi non hanno posto nello sport”.

Se in generale lo sport non può restare fuori dalla politica, nel caso del conflitto in Ucraina lo ha fatto meno che mai, in una dimensione inedita per quantità e qualità. Lo sport ha infatti rivestito un ruolo estremamente importante in questa guerra da un punto di vista politico, militare e mediatico e in questa sede verrà ripercorsa la storia di questa alleanza per come si è presentata finora.

Celebrità al fronte

I primi atleti di levatura internazionale a esporsi sono stati i pugili Vitali e Wolodymir Klitschko, Oleksandr Usyk e Vasyl’ Lomačenko.

I due fratelli Klitschko, entrambi ex campioni del mondo dei pesi massimi, hanno ricoperto un ruolo centrale soprattutto nelle prime settimane dell’invasione, quelle in cui l’esercito russo ha attaccato Kiev, città di cui Vitali è sindaco.

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.