“Gli dei se ne vanno, gli arrabbiati restano”. Napoli oltre la retorica

Napoli è costantemente romanticizzata e ritratta, nei racconti di napoletani e non, come un’eccezione a qualsiasi normalità. Ma se guardiamo meglio, potremmo forse accorgerci che la città rappresenta in realtà l’epitome di tutte le principali tendenze sociali, non solo italiane, in atto in quest’epoca. È questa la chiave per interpretare anche eventi o fenomeni che la cronaca tende a utilizzare per costruire immaginari superficiali e melodrammatici.

Premessa
Chi scrive è un figlio della Terra dei Fuochi. Ho vissuto tra Napoli e la provincia nord gran parte della mia vita e appartengo alla generazione che ha un piede nel secolo scorso e l’altro in quello presente. I G8 di Napoli e Genova nel 2001, così come l’antagonismo degli anni Novanta, hanno segnato la mia storia. Da alcuni anni vivo e lavoro a Firenze e mi capita di osservare certe dinamiche sociali napoletane con maggiore distanza, ma mai distacco. Gli ultimi fatti di cronaca hanno riacceso  interrogativi alla ricerca delle cause, nella speranza di approfondire un dibattito, che troppo spesso è influenzato da retorica e campanilismo. Cercheremo qui di presentare i pezzi di un complesso puzzle, di quelli con forme e colori poco chiare. Che ci confondono e a forza terminiamo, affrettandoci in maldestri incastri.

Cronaca
Dalla fine di agosto gli stupri a Caivano e Palermo e la morte di Giovanbattista Cutolo hanno acceso per qualche settimana i riflettori e il dibattito sul malessere delle periferie e del sud.
La madre di Cutolo ha più volte ripetuto che c’è una “Napoli della bellezza”, a cui apparteneva il figlio, e una “Napoli della barbarie” a cui appartiene il minorenne omicida, verso cui si chiedono pene più severe.
Questa visione manichea è criticata da coloro che “da buoni borghesi” si addossano le colpe del “sistema”, che ha generato un figlio malato.Altro tema ripetuto è quello degli eroi che restano per cambiare la città e i vigliacchi che scappano, abbandonandola al suo destino. Quest’ultima considerazione si rivela miope, perché non tiene conto della complessità dell’esistente e dello sradicamento e delle difficoltà che affronta un emigrante, né delle svariate motivazioni, più o meno etiche, che spingono a restare.Tale prospettiva romantica semplifica la realtà, spolpandola della dinamica politica ed economica.

Giovanbattista era un musicista di 24 anni, suo padre sceneggiatore e regista teatrale, la madre logopedista. Vista la situazione in cui versa la cultura in Italia, potremmo azzardare a descriverla come una famiglia appartenente a quel ceto medio impoverit, di cui sopra.

Napoli è unica!
Grazie agli studi di Isaia Sales, professore di Storia delle mafie, possiamo tracciare per punti le differenze tra Napoli e le altre città, in merito alla delinquenza e al disagio dei minori.

1. A differenza di altre grandi città italiane, a Napoli non si riscontrano significative presenze di gang minorili, formate da immigrati. E mentre i figli di immigrati riconoscono la scuola come luogo di promozione sociale, sono quelli delle famiglie napoletane dei quartieri più degradati ad evadere l’obbligo scolastico.

La questione minorile è quindi indigena e locale.

2. Visto che la criminalità organizzata vive a ridosso del disagio giovanile, il passaggio da questo a quella è molto breve. Per cui i minori rappresentano un esercito di riserva permanente, a cui la criminalità maggiore attingerà all’occorrenza.

3. Mentre nelle altre città atti violenti e criminali sono commessi anche da ragazzi provenienti da famiglie borghesi, a Napoli sembrano appannaggio quasi esclusivo di quartieri che sono in una specifica condizione sociale.

4. A differenza delle altre città in cui i reati dei minori hanno a che fare col consumo e lo spaccio di droga, a Napoli riguardano per lo più rapine, scippi, estorsioni, uso di armi, omicidi e tentati omicidi. Reati violenti affini a quelli camorristici.

5. L’elevato analfabetismo di ritorno e una cultura illegale, appresa per strada e in famiglia (i minorenni delinquenti sono in linea di massima, figli, fratelli o nipoti di pregiudicati), fanno sì che ci siano al…

Giù le mani dai centri antiviolenza: i tentativi istituzionalisti e securitari di strapparli al movimento delle donne

Fondamentale acquisizione del movimento delle donne dal basso, per salvarsi la vita e proteggersi dalla violenza soprattutto domestica, oggi i centri antiviolenza subiscono una crescente pressione verso l’istituzionalizzazione e l’irreggimentazione in chiave securitaria e assistenzialista. Tanto che ai bandi per finanziarli accedono realtà persino sfacciatamente pro-patriarcali come i gruppi ProVita o altre congreghe di tipo religioso.

Contro l’“onnipresente violenza”: la lotta in poesia delle femministe russe

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