Paul Karl Feyerabend e la parabola della ragione

Esattamente un secolo fa, il 13 gennaio 1924, nasceva Paul Feyerabend, filosofo della scienza austriaco. In aperta polemica con il falsificazionismo popperiano, Feyerabend ha cercato di fondare un’epistemologia anarchica, difendendo il relativismo più estremo. Il suo debito con Popper però non si è mai estinto.

“L’argomento che alla fine mi convinse del fatto che l’induzione fosse una finzione venne presentato da Popper a una conferenza della British Society for the Philosophy of Science (l’argomento risale a Duhem ma Popper non lo disse): leggi di livello superiore (come la legge di gravitazione newtoniana) spesso contraddicono quelle di livello inferiore (come le leggi di Keplero) e quindi non possono derivarne, indipendentemente da quante assunzioni si aggiungono alle premesse. Il falsificazionismo divenne insomma un’opzione interessante e io ci cascai. Di tanto in tanto mi sentivo un po’ a disagio, specialmente quando ne parlavo a Walter Hollitscher: era come se da qualche parte nelle fondamenta avessi un tarlo. Tuttavia applicavo il procedimento a un gran numero di questioni e ne feci il perno centrale delle mie lezioni quando iniziai a insegnare».

Così scrive Paul Karl Feyerabend (Vienna 13 gennaio 1924 – Genolier 11 febbraio 1994) nella sua autobiografia, Ammazzare il tempo, per giustificare la sua giovanile adesione al falsificazionismo popperiano. Feyerabend aveva del resto conseguito il suo dottorato di ricerca in filosofia nel 1951 e nell’autunno dell’anno successivo si recò in Inghilterra avendo proprio Popper quale suo supervisor. Negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale l’astro di Popper era già in via di una progressiva affermazione. Non tanto per ragioni epistemologiche, tant’è vero che la sua opera prima, ovvero la Logik der Forschung (apparsa a Vienna nel 1934, nella collana dei neopositivisti diretta da Moritz Schlick) non aveva ancora contribuito alla fama internazionale di Popper, il quale – negli anni Trenta – era ancora su posizioni socialdemocratiche (se non socialiste tout cour). Ma con l’apertura della Guerra fredda le opere di filosofia politica di Popper ebbero subito un’eco internazionale, perché la sua filosofia poteva essere assunta dal mondo liberale internazionale come l’espressione e la migliore difesa della tradizione occidentale. Non solo: con sue opere come La società aperta e i suoi nemici, insieme a Miseria dello storicismo, Popper sembrava costituire un saldo baluardo occidentale del tutto contrario al marxismo che dominava nel mondo sovietico e nei suoi Stati satelliti.

  A questi elementi di contesto internazionale si aggiungeva poi il fascino e la seduzione che emanava dalla figura stessa di Popper. A tal proposito basterebbe anche solo ricordare come questo epistemologo di origini austriache fosse solito incominciare le sue lezioni universitarie, alla celebre London School of Economy and Political Science, con un rilievo che divenne ben presto notissimo: “Sono un professore di ‘metodo scientifico’, ma ho un problema: il metodo scientifico non esiste”.

    La seduzione di Popper proveniva anche dalla leggenda, da lui abilmente coltivata, che fosse il “killer del neopositvismo”. Per la verità la Logik der Forschung, come accennato, fu ospitata da Moritz Schlick nella collana ufficiale del Wiener Kreis;tuttavia è vero che il falsificazionismo popperiano attaccava direttamente la tradizione dell’empirismo logic…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.