Il governo Meloni vuole più carceri e più carcere

In Italia sta aumentando pericolosamente il paradigma repressivo. Dopo i decreti Rave, Cutro e Caivano del governo Meloni che, una volta convertiti in legge, hanno introdotto sanzioni più severe a spese soprattutto di giovani e migranti, è ora al vaglio la misura che introdurrà il reato di rivolta in carcere o in Centri di Permanenza per il Rimpatrio o altre strutture riservate a migranti «mediante atti di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti dalle autorità». Un giro di vite che fa il paio con l'intenzione di aumentare il numero delle strutture detentive.

Carcere, carcere, carcere. Suona più o meno così la ricetta del governo Meloni per fare fronte al problema del crescente sovraffollamento negli istituti penitenziari italiani. Nella sentenza Torreggiani del 2013 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne aveva riconosciuto il carattere «strutturale e sistemico», condannando l’Italia per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione EDU, che vieta la tortura e pene o trattamenti inumani o degradanti. Se il tasso di sovraffollamento era allora quasi del 140%, oggi, a oltre dieci anni di distanza, il dato è di nuovo pressoché lo stesso.
Secondo l’ultimo studio del Garante nazionale delle persone private della libertà personale, da dicembre 2020 a gennaio 2024, si è passati da circa 52.000 a oltre 60.000 persone detenute, a fronte di una capienza effettiva rimasta stabile intorno ai 47.000 posti. Di conseguenza, l’indice di sovraffollamento è aumentato dal 113 al 127%, con picchi che superano anche il 200% nel caso di Milano San Vittore, Brescia – Canton Monbello e Grosseto. Sono inoltre sempre di più i ricorsi, motivati dalla supposta violazione dell’articolo 3 della CEDU, presentati dalle persone detenute e accolti dai tribunali di sorveglianza italiani: da circa 3.300 nel 2020 sono saliti a 4.500 nel 2022, come riporta l’Associazione Antigone nel report di fine anno 2023.

Citando una raccomandazione del Consiglio d’Europa, la sentenza Torreggiani evidenziava che l’ampliamento del parco penitenziario non fosse adatto «ad offrire una soluzione duratura al problema del sovraffollamento» e che, inoltre, andasse esaminata «l’opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l’applicazione di pene privative della libertà».

Tuttavia, secondo il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, l’unica strada percorribile per contrastare il sovraffollamento rimane quella di aumentare la capienza effettiva, costruendo nuovi padiglioni e riconvertendo strutture dismesse di proprietà dello Stato, come le ex caserme, in istituti penitenziari. In questo modo, come annunciato dal Sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove in un intervento alla Camera dei Deputati, si stimano altri 7.000 posti detentivi, grazie anche ai fondi del

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.