Una democrazia per persone in carne e ossa

La maggior parte delle proposte per rivitalizzare la democrazia, la cui crisi è ormai lampante, tendono a pretendere dai cittadini una maggiore partecipazione democratica; cosa che, in un mondo in cui le persone non hanno tempo, le rende spesso irrealistiche. Breve rassegna di possibili riforme per cittadini indaffarati.

Joseph Schumpeter, uno dei maggiori economisti del XX secolo, sostiene che il cittadino medio «spende nello sforzo disciplinato di tentar di capire e risolvere un problema politico, meno energia che nel giocare a bridge»[1]. In due precedenti articoli[2], ho ripreso questa tesi famosa e ne ho trovato il fondamento in quattro potenti meccanismi: l’ignoranza razionale, l’irrazionalità razionale, il gaslighting e l’effetto Dunning-Kruger. A sua volta, il modesto impegno politico del cittadino comune favorisce l’avvento delle democrature, che sono forme di democrazia illiberale spesso imperniate su figure di demagoghi estremisti. Tuttavia, dopo il versante negativo, questo terzo e ultimo articolo tenta di illustrare il versante positivo: come rendere oggi ancora vitale una democrazia, basandosi non su soggetti idealizzati, bensì sui comportamenti effettivi dei cittadini.

Chiunque si collochi politicamente a sinistra sostiene che la cura per i mali della democrazia è più democrazia. Questa tesi deve tuttavia coniugarsi con la dura circostanza, evocata negli articoli precedenti, per cui, nella realtà ordinaria, quasi tutte le proposte di riforma sono in concreto troppo onerose, in termini di tempo e di dispendio cognitivo, per i cittadini comuni, i quali si dedicano prevalentemente ad altre attività, tra le quali spiccano quelle di cura e quelle del lavoro retribuito. Ciò implica che le innovazioni democratiche che hanno suscitato maggior interesse tra gli studiosi di politica negli ultimi anni – come la partecipazione nelle associazioni e nei gruppi della società civile, nei movimenti sociali, nei forum deliberativi e nei mini-pubblici – sono troppo ambiziose[3]. Praticarle richiede rilevanti motivazioni e competenze civiche, grandi quantità di tempo ed energia, mobilità fisica e flessibilità temporale: tutte cose che spesso mancano alle persone in carne e ossa. Occorre invece teorizzare, sostiene Kevin Elliott, una Democracy for busy people, una democrazia per persone indaffarate[4].

Elliott pone al centro della politica il “paradosso dell’empowerment”, che si verifica quando le forme di partecipazione più costose ed esigenti vengono introdotte, con l’intento nobilissimo di dare voce e potere ai cittadini comuni, producendo però l’esito opposto: quelle opportunità sono sfruttate in modo sproporzionato dalla minoranza di cittadini provvisti dei requisiti necessari ad utilizzarle. È un esito perverso che rafforza coloro che, nella società, sono già avvantaggiati, offrendo loro ulteriori mezzi per influenzare la vita politica. Sembra dunque preferibile, sostiene Elliott, puntare su forme più modeste e realistiche di partecipazione. Poiché di solito i cittadini indaffarati mancano delle condizioni necessarie per impegnarsi attivamente nella politica, occorrerebbe promuovere misure che contrastino l’apatia, impedendo che una parte dei cittadini venga esclusa completamente dal coinvolgimento democratico. La sua proposta è la “cittadinanza in stand-by”, che punta a coltivare non t…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.