Repubblica Democratica del Congo, un Paese martoriato da trent’anni di guerra

Nella Repubblica Democratica del Congo si sono tenute nuove elezioni alla fine del 2023 e il presidente Félix Tshisekedi, tra molti sospetti di brogli, ha ottenuto la riconferma. Intanto il Paese è ancora preda delle milizie, tra cui l’M23, e dell’ingerenza degli Stati confinanti; è in guerra da trent’anni, anche a causa delle numerose risorse naturali che fanno gola a molti. Una terra e un popolo lasciati da soli e di cui dovremmo smettere di ignorare la sorte girandoci dall’altra parte.

Passano i giorni, i mesi, gli anni e la situazione nelle regioni orientali della Repubblica democratica del Congo (Rdc) sembra rimanere ferma nel tempo. Negli ultimi mesi i miliziani dell’M23 hanno ricominciato ad avanzare su Goma, capoluogo del Nord Kivu. Dopo ripetuti colloqui di pace tra la fine del 2022 e i primi sei mesi del 2023, sembrava che i ribelli si fossero fermati e che anzi avessero anche ritirato i propri uomini da alcune delle posizioni conquistate. Con il nuovo anno l’offensiva dell’M23 è ricominciata, arrivando, il mese scorso, a conquistare la città di Sake a 25 chilometri da Goma. Nel giro di un mese l’avanzata della milizia ribelle ha prodotto più di 250mila nuovi sfollati, che si sono diretti verso i campi profughi alla periferia di Goma, dove già vivono più di mezzo milione di persone. Queste si aggiungono ai sette milioni di congolesi fuggiti dalle proprie case per le violenze perpetuate dai più di 120 gruppi armati presenti nel Paese, dalle decine di contingenti militari di altri Stati africani schierati sul campo, dallo stesso esercito della Rdc e dai sempre più frequenti disastri ambientali.

Nel 2019 si tengono le prime elezioni democratiche in Rdc dall’indipendenza dal Belgio del 1960. A vincerle, con non poche poteste da parte degli oppositori, è il partito di Félix Tshisekedi, l’Udps. Nel 2021 il gruppo armato M23, che nasce nel 2011 e che nel 2012 conquista Goma per poi ritirarsi, incomincia una nuova offensiva verso il capoluogo del Nord Kivu. Tshisekedi cerca aiuto per fronteggiare l’insurrezione nell’Eastern african community (Eac), che schiera nelle regioni orientali della Rdc contingenti di Paesi membri come il Ruanda, l’Uganda e il Burundi. Ma non passa molto prima che Kinshasa capisca di essersi data in pasto al nemico. Infatti lo schieramento dei contingenti della Comunità dell’Africa orientale nelle regioni di confine della Rdc ha dato la possibilità al Ruanda, Paese militarmente più attrezzato della regione, di puntare allo sfruttamento dell…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.