La realtà diminuita di Apple Vision

Ogni qualvolta si parla di mondi simulati, come nel caso dell'esperienza promessa da Apple Vision, entra in vigore una specie di riduzionismo empirista, per il quale basterebbe prendere un cervello e collegarlo ad una macchina capace di somministrare segnali elettrici e illuderlo così dell'esistenza di una realtà digitale surrogata. Senza tener conto né delle strutture cognitive pregresse né dell'ambiente in cui tale soggetto si sviluppa.

Non si può non scomodare Platone quando si parla di realtà virtuale. Non tanto per l’autorevolezza del lascito filosofico, quanto per l’inesauribile ricchezza interpretativa delle allegorie tramandate. Se ad esempio si prendono i prigionieri della celebre caverna descritta nella Repubblica e al posto delle catene che li tengono imprigionati davanti alle ombre li si dota di visori per una realtà alternativa, ecco che l’antica critica al mondo dell’opinione acquista nuovo senso e diventa una denuncia verso le recenti apparecchiature digitali. Nonostante il paragone fra la catabasi platonica e l’uso acritico di dispositivi come l’Apple Vision sia stato proposto in diverse varianti, soprattutto in seno a questa veste polisemica, tuttavia non sempre è facile giungere a conclusioni capaci di rimanere fedeli a realtà così lontane fra loro.

Il visore per la realtà ibrida di casa Apple è un computer in miniatura dotato di telecamere e di uno schermo ad alta risoluzione che richiede di essere indossato sul viso da un utente come fossero degli occhiali; gli apparecchi di registrazione catturano ciò che l’utente ha attualmente davanti a sé e lo “mandano in onda” sui monitor, integrando immagini reali con grafiche digitali sovraimpresse. Diversamente dai prigionieri dell’allegoria, il moderno recluso non nasce con le catene ai polsi ma sceglie consapevolmente di indossarle dopo aver fatto almeno un’esperienza della realtà esterna (della quale fa parte anche il visore stesso). L’elemento mancante è quello della credenza: indossare il visore non implica una conversione automatica delle proprie opinioni sul mondo e non ci illude che i surrogati digitali somministrati dagli schermi siano la realtà stessa. In un certo senso, il fascino per i wearable device – protesi esterne di un neo-transumanesimo – trova le sue ragioni proprio nell&…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.