I cento tavoli dell’Italia in crisi

Al Ministero dello Sviluppo economico i dossier sulle imprese in difficoltà sono ben novantanove. Siderurgia, automotive, elettrodomestici e aeronautica i settori più colpiti. Oltre 56 mila i lavoratori nel guado. Mentre si avvicina lo sblocco dei licenziamenti facciamo il punto sui principali focolai di crisi aziendali che tempestano il Paese: Taranto, Termini Imerese, Napoli, Torino e Terni.

Su uno dei tavoli più importanti d’Italia sono accatastati faldoni veramente pesanti. Novantanove plichi, stando alle stime elaborate al 31 marzo, che racchiudono il futuro industriale e produttivo del Paese. Scartoffie, alcune, impolverate da anni e altre, invece, scarabocchiate frettolosamente con l’inchiostro del Covid-19. Bekaert, Industria Italiana Autobus, ex-Alcoa e Forall Confezioni Spa sono alcuni dei titoli in grassetto sui dossier. Al Ministero dello Sviluppo economico, il termine “crisi” è una sigla stampata a fuoco sulle trabeazioni in marmo della sede di Roma.

Cinquantadue procedure con un afflato nazionale, per aziende con oltre 200 dipendenti, e quarantasette dentro gli steccati regionali. Altre storie, invece, neanche riescono ad assieparsi su quel tavolo: imprese con 15 o 20 dipendenti, colpite dalla scure pandemica, il cui peso farebbe scricchiolare le gambe nodose dello sviluppo tricolore. Come riferisce il rapporto dei metalmeccanici del sindacato Cisl che indica nella siderurgia, automotive, elettrodomestici e aeronautica, i 4 settori più piallati dai focolai di crisi. Circa 56 mila lavoratori sono nel guado, mentre il giorno fatidico dello sblocco dei licenziamenti – una delle tranche ipotizzate dal Governo è il 30 giugno – si avvicina. Mordendo gli scampoli di luce dell’estate. 

Il 29 maggio, la vice-ministra Alessandra Todde ha contato ottantanove vertenze “attualmente in carico” al dicastero, con la chiusura di alcune vicende in Friuli-Venezia Giulia, Lombardia e Lazio. Numeri, comunque, lontani dagli sfarzi del 2020 – 144 crisi a giugno e 120 ad agosto – ma esemplificativi dell’eterno stato di emergenza in cui galleggia il sistema economico. A marzo di quest’anno, i sindacati avevano preteso attenzioni da parte del Ministro Giancarlo Giorgetti, con richieste esplicite di intervento immediato per il dramma occupazionale alle porteIl tempo stringe. Il dicastero, dal canto suo, ha plasmato un 

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.