Lo sguardo lungo di Dolly: dalla clonazione alla medicina rigenerativa. Intervista a Carlo Alberto Redi

Il 5 luglio di venticinque anni fa nasceva la celebre pecora Dolly, primo mammifero clonato con successo partendo da una cellula somatica. Da allora la clonazione ha rivoluzionato l’epistemologia genetica, aprendo a sviluppi impensabili nella medicina rigenerativa.

Ora è possibile osservarla al Museo Nazionale di Scozia a Edimburgo, a una decina di chilometri di distanza dal Roslin Institute, dove i biologi Keith Campbell e Ian Wilmut avevano concepito un esperimento destinato a schiudere nuovi spazi di possibilità per la ricerca scientifica. La celebre pecora Dolly è oggi simbolo delle frontiere raggiunte con la clonazione. Da abusato tema di fantascienza a oggetto di intenso dibattito bioetico, la clonazione del XX secolo ha gettato le basi per una profonda rivoluzione nell’epistemologia genetica, aprendo a sviluppi ritenuti impensabili nel campo della medicina rigenerativa.

Ne parliamo con Carlo Alberto Redi, professore Ordinario di Zoologia presso l’Università di Pavia, accademico dei Lincei, presidente del Comitato Etica della Fondazione Umberto Veronesi, ed esperto di genomica funzionale e riprogrammazione genetica.

Il prossimo 5 luglio ricorre il 25° anniversario della nascita della pecora Dolly (5 luglio 1996), il primo mammifero a essere clonato con successo partendo da una cellula somatica. Forse i non esperti si staranno già chiedendo: perché clonare una pecora?

Il fatto risulta meno insolito se lo si guarda in prospettiva storica. Aveva senso che fosse una pecora se si guarda il deragliamento prodotto da presunte frodi come quella di Peter Hoppe e Karl Illmensee, che in un articolo del 1981 dichiararono di aver clonato dei topi trasferendo i nuclei di cellule embrionali allo stadio di blastocisti[1] in oociti[2] enucleati. Tuttavia, nessuno riuscì a ripetere l’esperimento e a ottenere il completo sviluppo di un embrione di topo: un articolo di Nature del 1984 dichiarò così che la clonazione utilizzando tecniche di trasferimento nucleare era biologicamente impossibile. La biomedicina smise allora di interessarsi alla clonazione. Se ne interessarono i veterinari, che avevano scopi più pratici. Ad esempio, se posso far esprimere il fattore IX della coagulazione del sangue umano nella mammella di una pecora transgenica, otterrò del latte con una proteina fondamentale, la cui carenza porta all’emofilia B. Il concetto è quello di …

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.