Usa, l’impero di Dio

Il 30 luglio di sessantacinque anni fa “In God We Trust” (“Noi abbiamo fede in Dio”) divenne il motto nazionale degli Stati Uniti d’America. Una scelta non casuale, ma esemplificativa di una concezione religiosa del potere politico ed economico che ha caratterizzato la storia degli Usa dalle origini fino a oggi.

Dio e Impero: un binomio vecchio di millenni. Dall’Egitto di Ramses II e dei Faraoni all’Impero romano dei Cesari divinizzati al Sacro Romano Impero di Carlo Magno, il primo «Unto del Signore» della storia occidentale, a Napoleone Bonaparte e alla Russia zarista. Per non parlare degli Imperi d’Oriente, come quello del Giappone. Uno dei segni in comune? L’effige dei regnanti sulle monete correnti, con grafica e motti di tipo religioso.

Nella storia del binomio rientrano a pieno titolo gli Stati Uniti d’America. L’incisione ufficiale In God We Trust, «Noi abbiamo fede in Dio», sul dollaro americano nel 1956, elevato a motto nazionale degli Usa, non è certo un caso, perché esprime la concezione religiosa del Potere politico ed economico, uno dei filoni tipici dell’intera storia degli Usa, dalle origini a oggi. Con tutti ovviamente i zig-zag e le sfumature e differenze concettuali e ideologiche immaginabili, dovute alla particolarità delle circostanze, alla personalità dei protagonisti e ai mutevoli rapporti di forza tra gli schieramenti in campo.

1) Manifest Destiny. Fin dalle prime colonie di puritani del New England il nome di Dio è inseparabile dalla storia statunitense. La Dichiarazione di Indipendenza (1776) si apre e si chiude con l’appello al «Supremo Giudice dell’Universo», il «Creatore» che ha dotato tutti gli uomini di «diritti inalienabili», tra cui «la vita, la libertà e il perseguimento della felicità», invocando infine la «protezione della Divina Provvidenza». Questo richiamo a Dio, di ispirazione genericamente deistica, dove però manca qualsiasi accenno alla schiavitù nera, assumerà connotazioni teologiche più precise un decennio dopo. Nel Primo Emendamento della Costituzione americana (1787): «Il Congresso non potrà fare alcuna legge che stabilisca una religione di Stato o che proibisca il libero esercizio di una religione, ecc.», si ammette il pluralismo religioso, ma non l’agnosticismo o l’ateismo o l’indifferenza religiosa; lo Stato non è confessionale, ma trae tuttavia ispirazione e g…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.