Pábitelé

Per presentare i personaggi di questo racconto apparso su MicroMega nel 1989, lasciamo la parola allo stesso autore, che così li descriveva nel 1964: «Uomini dei quali si potrebbe dire che sono pazzi, sciroccati, per quanto chi li ha conosciuti certo non lo direbbe in questo modo (…) capaci (...) di fare ciò che fanno troppo appassionatamente, fino a sfiorare i limiti del ridicolo (…) I pábitelé sono inafferrabili, il loro volto nel presente è incerto, contraddittorio, talvolta anche apparentemente indesiderato, non conveniente. E tuttavia nel giro di sei mesi finiscono per avere ragione».

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Da MicroMega 3/1989

Presentazione di Luciano Antonetti 
Un angelo in veste comica 

 
1. Bohumil Hrabal è nato il 24 marzo 1914 a Brno, in Moravia. Prima e dopo la laurea in giurisprudenza (1946, università Carlo di Praga) ha fatto cento e un mestiere, fino a che si è dedicato interamente alla letteratura: è stato manovale e capomovimento in ferrovia, operaio in acciaieria e preparatore di malto in una fabbrica di birra, impiegato in un ufficio notarile, agente assicuratore e commesso viaggiatore, imballatore di carta da macero, comparsa e macchinista 
teatrale. Nel 1956 pubblicò per la prima volta due racconti, in un’edizione limitata per bibliofili, ma in precedenza (1949) e successivamente (1959) non riuscirono a vedere la luce una raccolta d ipoesie e una prosa. Il successo arrivò nei primi anni Sessanta, quando anche in Cecoslovacchia cominciava timidamente ad affermarsi la «destalinizzazione» alla Chruscev. Nel 1963 usci Perličky na dně (Perline sul fondo), da cui è stato tratto il film omonimo, nel ’64 altri due libri: Pábitelé (ripubblicato lo stesso anno in seconda edizione) e subito dopo Taneční hodiny pro starší a pokročilé (Lezioni di ballo per anziani e progrediti). E per alcuni anni si susseguirono racconti e prose e un altro film: Ostře sledované vlaky (Treni strettamente sorvegliati, dal libro omonimo). 

Dopo l’invasione del 1968, però, ricominciano i guai: nel 1969 non entra in circuito una pellicola già pronta per la quale ha contribuito alla sceneggiatura, anch’essa derivata da suoi racconti; l’anno seguente la stessa sorte tocca a un suo libro. Ma la fama di Hrabal ormai corre per il mondo, si moltiplicano le traduzioni nelle lingue più disparate e alcune opere ricompaiono anche in Cecoslovacchia, non di rado dopo che sono state pubblicate all’estero. Un «artista maledetto» per l’attuale regime di Praga? Sicuramente un autore alquanto scomodo. 

 
2. Pábitelé, si è appena detto, uscì nei primi mesi del 1964. II volume prende il titolo da uno dei racconti, quello che qui viene riproposto e di cui la prima versione italiana vide la luce nella capitale cecoslovacca (D. Kuzel – J. Blazkovd – B. Hrabal – J. Vyskocil – J. Skvorecky – V. Vondra – P. Balgha, Sette racconti per i giorni feriali, Praga, Orbis, marzo 1966, traduzioni di L. Antonetti e G. Gandini). II titolo che apposi allora al racconto («Una boccata d’aria fresca») era fuorviante, seppure forse più. comprensibile al largo pubblico cui la casa editrice in lingue estere intendeva rivolgersi. Ripreso in mano il testo, oggi, mi hanno lasciato insoddisfatto sia la soluzione adottata in Italia («Gli sbruffoni», in Vuol vedere Praga d’oro?, Milano, Longanesi, 1973 e Parma, Guanda, 1987) usata e ripresa inoltre da altri, sia le soluzioni affermatesi in Francia (Les palabreurs) e in Germania (Die Bafler) più giocate, mi sembra, sulla compresenza delle labiali «p» e «b» che su una caratteristica dei personaggi del nostro autore. Ho optato quindi per la conservazione del titolo originale, dando però la parola allo stesso Hrabal per far dire a lui chi sono i suoi «eroi». 

«Vi sono uomini i quali camminano nei fossati delle auree vie di mezzo, vi sono uomini che incessantemente si rinfrescano le teste infuocate nel tritume delle onde (…) che rincorrono sempre la grande occasione posta all’orizzonte (…) [Un] pábitel è uno strumento della lingua che arricchisce se stessa (…) di regola non ha letto niente o quasi, ma in compenso ha guardato molto e ascoltato molto. E non ha dimenticato quasi nulla. È preso dal suo monologo interiore che porta a spasso per il mondo come un pavone le sue belle penne (…) È pieno di ammirazione per il mondo visibile, tanto che quest’oceano di belle visioni non lo fa dormire (…)». Ma si ricordino «l’arte di non comprendere» di Lao-Tse, il «so di non sapere» di Socrate, l’«elogio della follia» di Erasmo da Rotterdam. «I pábitelé dimostrano che la vita vale essere vissuta». 

Questo nella nota di presentazione alla prima edizione del libro, del 1964. E nella nota di presentazione alla terza edizione (’69): «(…) Uomini dei quali si potrebbe dire che sono pazzi, ritardati, sciroccati, per quanto chi li ha conosciuti certo non lo direbbe in questo modo (…) capaci (…) di fare ciò che fanno troppo appassionatamente, fino a sfiorare i limiti del ridicolo (…) I pábitelé sono inafferrabili, il loro volto nel presente è incerto, contraddittorio, talvolta anche apparentemente indesiderato, non conveniente. E tuttavia nel giro di sei mesi finiscono per avere ragione». Sono dappertutto, ci accorgiamo della loro mancanza quando si ammalano, quando vanno in ferie, e allora ne sentiamo nostalgia. «I pábitelé sono uomini di cui nessuno si accorge, quasi all’ultimo gradino della scala sociale (…) Ciononostante la vita del pábitel è invidiabile, tanto che talvolta vorremmo viverla al suo posto, o almeno con lui (…)». Questa figura è ormai diffusa nella letteratura mondiale, afferma Hrabal, che nell ‘Ignu dell’omonima poesia di Allen Ginsberg individua un pábitel, «Ignu ne sa quanto un angelo, de facto è un angelo in veste comica (…) vive una sola volta ed eternamente e la sa (…) E per finire: Chi vi mette in imbarazzo e un pábitel, e 
fatemelo sapere». 

Per concludere, poche parole sulla storia di termini ormai di uso comune nella lingua ceca: sostantivo, verbo, sostantivo verbale e aggettivo. Nella nota appena citata, del 1969,1’autore afferma di aver inteso la parola alcuni anni prima, dal poeta-pittore Jiří Kolář e di averla cominciata ad adoperare dopo di allora. Sempre in quella terza edizione di Pábitelé, però, il critico Emanuel Frynta, nella sua bella e interessante postfazione al volume (datata febbraio 1968), scrive tra l’altro che a coniare verbo e sostantivo verbale era stato il poeta (e accanito fumatore) Jaroslav Vrchlický, sul finire della sua vita, quando cominciò a dire pábit invece di «fumare» e pábiní invece di «il fumare». Dei termini si erano poi impadroniti il disegnatore Kamil Lhoták (illustratore dei due primi raccont ipubblicati da Hrabal) e il poeta František Hrubín (che peraltro aveva raccontato la storia già nel 1964, subito dopo la prima uscita di Pábitelé, nel n. 11 del settimanale Literární noviny («Il giornale letterario»). A poco a poco, quindi, si era ampliata la cerchia degli amici, dei conoscitori, degli utilizzatori dei termini che qui sièe tentato di illustrare. 

Su un aspetto di fondo della questione, comunque, ha ragione Bohumil Hrabal: i pábitelé («personaggi legittimati a esistere anche se venuti alla luce soltanto per divertire il pubblico», come scrive Frynta) e il pábitelismo sono proprio dappertutto. 

Bohumil Hrabal: Pábitelé 

 Su una panca davanti al cementificio sedevano alcuni vecchietti, l’uno gridava all’altro, si afferravano per i risvolti e si urlavano nelle orecchie. Sul paesaggio pioveva polvere di cemento, case e giardini erano coperti dal fine calcare macinato. 
Così giunsi nei campi impolverati. 
Sotto un pero orfano un ometto raggrinzito falciava l’erba. 
«Dico, cos’hanno da sgolarsi quei nonnini davanti la portineria?». 
«Ah, lì all’ingresso centrale? Sono i nostri pensionati», disse l’ometto raggrinzito e continuò a falciar…

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