Napoli, 1973: l’estate del colera

L’estate di 48 anni fa Napoli si scoprì epicentro di una epidemia di colera. Dopo l’incredulità e il panico iniziale, la città riuscì a debellare la malattia con una campagna di vaccinazioni di massa resa possibile grazie all’autorganizzazione e alla solidarietà popolare.

Per l’esattezza, 48 anni fa. Era l’estate del 1973. Napoli, la città e la popolazione non avrebbero mai immaginato ciò che sarebbe accaduto. Il bollettino del 15 agosto: furono registrati alcuni casi di presunta gastroenterite che non destarono preoccupazione. Del resto, il giorno di ferragosto è periodo fertile per gli smottamenti dello stomaco e dell’intestino. Ma quando Linda Heyckeey, ballerina inglese, morì pochi giorni dopo, gli ultimi scampoli di serenità della stagione partenopea evaporarono sopra il braciere delle febbri. Altri decessi si susseguirono, fino a quando Antonio Brancaccio, primario dell’ospedale Maresca di Torre del Greco, comune della provincia vesuviana, diagnosticò l’impossibile. 

Un’infezione antica, secolare quanto le disuguaglianze che spaccavano (e tuttora lo fanno) il globo in due emisferi. Un male che in molti ritenevano retaggio del passato o, perlomeno, debellato in Occidente. Il colera, quindi – secondo le analisi del medico – aveva inchiodato Napoli alla cruda realtà di una Repubblica, quella italiana, fondata sulla povertà e le mancate promesse di sviluppo. E questo fu, nonostante il morbo si appiccicò al porfido dei marciapiedi e alle arcate di diverse città. Napoli così divenne l’epicentro, anche simbolico, del colera tricolore.  

Alla notizia, i sentimenti che percossero la società, in ordine cronologico furono incredulità, sbigottimento e terrore. Che si addensò nei vicoli e nei rioni. 

“Anche allora si parlò di quarantena, e nella città scoppiò il panico, davvero il panico e questo si sentiva molto, perché intanto c’era tanta gente che aveva paura, tanta gente che manifestava per avere risposte”, racconta Antonella Pezzullo, membro della segreteria nazionale del sindacato pensionati Cgil. Nel 1973 aveva 19 anni, era fresca di diploma e si era iscritta alla facoltà di Medicina. “C’era tanta gente che si recava due, tre volte al giorno in pellegrinaggio, sostando davanti ai cancelli dell’ospedale Cotugno per avere indicazioni”. Il nosocomio per le malattie infettive. Oggi come ieri fiore all’occhiello della sanità campana. I malati vennero relegati lì dentro e curati. 

Pezzullo ricorda “la sofferenza di un popolo che aveva già tantissime difficoltà”. Il panico: “Ci fu un’ossessione per l…

Autonomia differenziata, fermiamola ora o sarà troppo tardi

L’Autonomia Differenziata è un progetto politico che lede la natura della Repubblica Italiana, sancita dalla Costituzione come “una e indivisibile”, foriero non solo di inammissibili disuguaglianze ma anche di inefficienze. Contro di essa si sono espressi costituzionalisti, istituzioni, soggetti politici, sociali ed economici, fino ad arrivare alla Commissione Europea. Eppure il governo procede a spron battuto nel volerla attuare, mostrando i muscoli e tappandosi le orecchie. Contro questo scellerato agire a senso unico bisogna agire ora, altrimenti – considerando il criterio della decennalità – sarà davvero troppo tardi.

Regionalismo differenziato o centralismo diffuso? L’autonomia differenziata punta a demolire il Parlamento

La legge sull’autonomia differenziata rischia di diventare una utile stampella al premierato, di rafforzare, più che il regionalismo differenziato, un “centralismo diffuso” che consente al Presidente del Consiglio di negoziare con le singole regioni, esautorando totalmente il Parlamento dalle sue funzioni; e, con esso, svuotare di sostanza la Repubblica democratica.

La guerra contro lo Stato condotta dal liberismo della “sussidiarietà”

Pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Pallante “Spezzare l’Italia”, Giulio Einaudi Editore, 2024. In questo volume, il costituzionalista argomenta in profondità le ragioni di una battaglia per fermare il disegno eversivo dell’autonomia differenziata, il quale, come spiega nel capitolo di seguito, trae origine anche dalla visione, intrisa di liberismo e populismo al tempo stesso, tale per cui lo Stato sia automaticamente un “male necessario” e le istituzioni “più vicine ai cittadini” consentano un beneficio. Una visione che nega alla radice la politica, vale a dire l’opera di mediazione e sintesi che è in grado di tenere insieme la società.