Rimescolare il canone

Le critiche a chi invoca una letteratura più inclusiva e rappresentativa non tengono conto che la pretesa fissità di canoni letterari da conservare e venerare è in realtà sociologicamente determinata e condizionata da strutture di potere.

Qualche mese fa, Meghan Cox Gurdon, critica letteraria di libri per bambini del Wall Street Journal, denunciava in un articolo i rischi del movimento statunitense #DisruptTexts che, «usando una buona idea, vale a dire che i bambini dovrebbero avere accesso a libri con protagonisti di razze ed etnie diverse, ne promuove una perniciosa e cioè che ai bambini nuoccia il confronto con una letteratura classica che non si conforma alla sensibilità contemporanea su razza, genere e sessualità», e lanciava un grido d’allarme per il fatto che alcuni insegnanti negli Usa si oppongono all’insegnamento di Shakespeare nel timore che gli studenti possano essere feriti dalla violenza, dalla misoginia e dal razzismo delle sue commedie. 

A partire da quell’articolo la rivista Salmagundi, del Skidmore College, ha aperto un simposio sul tema cui hanno contribuito, con interventi di segno diverso che rendono la complessità della questione, il professore di Inglese alla University of Virginia Mark Edmundson; la scrittrice Siri Hustvedt; il direttore di Salmagundi e docente di Inglese presso il Skidmore College Robert Boyers; e Rochelle Gurstein, autrice di The Repeal of Reticence. A History of America’s Cultural and Legal Struggles over Free Speech, Obscenity, Sexual Liberation, and Modern Art

Dopo quello di Mark Edmundson, pubblichiamo questa settimana l’intervento di Siri Hustvedt.

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L’articolo “Shakespeare Wasn’t Woke” di Meghan Cox Gurdon è un testo che va letto tanto per quello che dice quanto per quello che non dice. I nemici contro cui Gurdon punta il dito sono le attiviste di #Disrupt Texts che «sfidano il canone tradizionale al fine di creare un curriculum di arti linguistiche più inclusivo, rappresentativo ed equo». La sua paura è che i bambini vengano «separati» dai «classici», che hanno «guadagnato il loro posto nel pantheon letterario» come testi amati e influenti, e siano quindi privati della «loro eredità».

Scrivendo su quella che chiamò «critica laica», Edward Said notò «l’assunto ideologico quasi inconsapevolmente sostenuto che il modello eurocentrico per le discipline umanistiche rappresenti un argomento naturale e appropriato per lo studioso umanista. La sua autorevolezza deriva non solo dai monumenti letterari ortodossi tramandati di generazione in generazione, ma dal modo in cui questa continuità riproduce la continuità filiale della procreazione biologica». Said non aggiunge che la versione letteraria della procreazione è avvenuta per lo più senza madri, generata dalla sola paternità. Questa è la fantasia di Harold Bloom in L’angoscia dell’influenza (1973). Attraverso il conflitto edipico con altri grandi scrittori maschi, i grandi scrittori maschi, come Zeus, danno vita ai libri dalle loro teste. Il libro di Bloom Il canone occidentale è apparso nel 1994. La misura della grandezza? «Shakespeare è il canone», scrive Bloom. «Egli stabilisce gli standard e i limiti della letteratura».…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.