La pandemia, Internet e lo spettatore imparziale

La pandemia e le dinamiche dei social network hanno accresciuto la polarizzazione del dibattito pubblico in fazioni opposte e inconciliabili. Come se ne esce? Adottando, sulla scorta di Adam Smith, un punto di vista imparziale ma partecipe.

La pandemia del Covid-19 ha acuito alcuni disagi che affliggono le democrazie moderne. Fra essi, la crescente polarizzazione in fazioni opposte e inconciliabili. Tanto nelle piazze quanto in Rete, la campagna di contrasto alla pandemia ha visto contrapporsi gruppi contrari a ogni tipo di obbligo (no virus, no mask, no vax, no green pass) ​a gruppi favorevoli alla scienza accreditata, dando vita ad un dibattito pubblico dai toni sempre più inquietanti.  

La situazione, in un certo senso, non è nuova. Se pensiamo al periodo della Guerra Fredda, la sfera pubblica era tutt’altro che un Eden dialogico. Dal maccartismo negli Usa alla strategia della tensione in Italia, dai blindati in via Zamboni a Bologna alle risse fra comunisti e fascisti, le piazze del Novecento non erano certo il miglior luogo per un confronto riflessivo.

Eppure, il conflitto, e anche la concettualizzazione delle questioni politiche, erano “ordinati”, in un certo senso guidati e senza dubbio mediati dai partiti di massa e dalle organizzazioni intermedie della società civile. Anche un oppositore dei partiti è costretto ad ammettere l’importanza di alcune loro funzioni, fra cui quella di ridurre la complessità e di effettuare mediazioni nel medio-lungo termine. Quando, nell’ultimo scorcio del Novecento, i partiti entrano in crisi (alcuni scienziati politici parlano di “partiti senza membri”) e le organizzazioni sociali si sfarinano, la conflittualità non sparisce miracolosamente. In un’epoca digitale come l’attuale, non può che traslocare online. Con diversa forma, ma pari intensità. Anzi, sembra che il disaccordo e l’ostilità, negli ultimi 20 anni, siano cresciuti. Sicuramente negli Usa: secondo il Pew Research Center, nel 1994 poco più del 15% dei democratici erano fortemente in disaccordo con il partito repubblicano; nel 2014 si sale a quasi il 40%. Simile (ed opposta) dinamica si registra fra i repubblicani nei confronti del partito democratico.

Sono, insomma, cresciute la frammentazione e la polarizzazione, per importanti ragioni politiche, economiche e sociali (che, in questa sede, tralasciamo di approfondire). Tuttavia, forse, con la complicità di Internet. Il modo in cui gli individui si informano online, infatti, è influenzato da aspetti psicologici, sociali e tecnologici che sembrano muoversi in una stessa direzione, negativa per il “buon” dialogo democratico.

Iniziamo dalle dinamiche psicologiche. C’erano ai tempi della Guerra fredda, le troviamo anche oggi. Pensiamo ad euristiche (meccanismi cognitivi) come quella della conferma: quando le persone cercano informazioni, tendono a considerare solo i contenuti che confermano le loro precedenti credenze, minimizzando ciò che è discordante. Il “bias di conferma” è stato, ed è tutt’ora, un problema: in una democrazia ci aspettiamo di assistere a un dialogo, almeno imperfetto, anche tra gruppi diversi, ma se i cittadini sono “istintivamente” riluttanti a cambiare le lo…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.