Antropologicamente diversi

Ci fu un momento in cui, all’inizio degli anni Novanta, la scritta che campeggia nelle aule dei tribunali (‘la legge è eguale per tutti’), da oggetto di facili ironie si trasformò in prospettiva credibile: fu la stagione di Mani Pulite. Col berlusconismo è tornata la giustizia dei ‘due codici’: quello per i ‘galantuomini’, i potenti della politica e dell’economia; e quello per i cittadini comuni e i ‘poveri cristi’. Oltre alla vergogna delle leggi ad personam.

da MicroMega 1/2011 [Acquista il numero completo]

1. Giustizia – oggi, in Italia – è sinonimo di disastro incombente. L’inefficienza del sistema è ormai cronica. Le procedure continuano a essere bizantine. La durata interminabile dei processi (civili e penali) frustra le pretese di legalità dei cittadini. Il sistema delle pene resta irrazionale, con applicazioni incerte e casuali, mentre si rafforza l’irrazionale illusione che la pena efficace sia quella esemplare e «gridata», non quella giusta e tempestiva. L’Italia dei furbi, degli affaristi e degli impuniti continua imperterrita la sua gara (spesso vincente) con l’Italia delle regole. Stentano a essere sufficientemente garantiti diritti fondamentali e regole basilari di convivenza. Le polemiche fra giurisdizione e politica non accennano a placarsi.

Contemporaneamente, le paure dei cittadini e le tensioni sicuritarie, invece di essere affrontate anche sul piano sociale e su quello della prevenzione (generale e specifica), vengono «governate» ricorrendo esclusivamente allo strumento – spesso inadeguato – della repressione penale, veicolando controproducenti irrigidimenti autoritari, fino a confondere i problemi del degrado urbano con quelli della sicurezza e favorendo il diffondersi di derive di intolleranza. Ridotta all’impotenza nei confronti delle bancarotte, delle corruzioni, delle concussioni, dei falsi in bilancio e dell’intera criminalità dei potenti, la giurisdizione è invece chiamata a interventi «efficienti» e talvolta crudeli nelle direttissime e nei processi per i reati di strada, specie quando protagonisti ne siano immigrati clandestini. Di qui la compresenza di due distinti codici: uno per i «galantuomini» (cioè le persone giudicate, in base al censo o alla collocazione sociale, comunque per bene, a prescindere…); l’altro per cittadini «comuni» o «diversi». Nel primo caso il processo – con i suoi tempi biblici – è destinato soprattutto a misurare l’attesa finché al giudice si sostituisca la prescrizione che tutto cancella; nel secondo caso la giustizia, pur funzionando malamente, spesso segna in modo pesante e irreversibile la vita e i corpi delle persone. Ed è superfluo osservare che la compresenza di due distinti codici è la negazione stessa del principio di legalità, che presuppone almeno una tendenziale uguaglianza di fronte alla legge.

Meritano almeno un cenno i gravi problemi del carcere. Centrale, è la questione della composizione della popolazione detenuta. I tossicodipendenti negli ultimi anni sono rimasti attestati intorno al 25-30 per cento del totale (si tratta per lo più di persone finite in carcere non per il solo fatto di aver assunto droghe, ma per i reati commessi in ragione di tale necessità). Il grande aumento si registra sul versante degli stranieri, che ormai sono più della metà, in alcuni istituti – soprattutto metropolitani – oltre il 60 per cento. Indubbiamente alla base di tale situazione vi è la scelta di improntare la normativa in materia di immigrazione a criteri quasi esclusivamente di repressione penale, senza preoccuparsi più di tanto della loro sostanziale inadeguatezza. Nel contempo (per esaudire, malamente, l’ossessiva richiesta di sicurezza) sono aumentati gli ostacoli che diminuiscono – e per gli stranieri di fatto impediscono – la possibilità di misure alternative. Per la massa di detenuti stranieri extracomun…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.