Rosarno: ancora ghetti, sfruttamento e miseria

Sfruttati al limite della schiavitù e costretti a vivere in 6 o 7 dentro una tenda o una baracca senza elettricità né bagni. Il numero dei braccianti nella Piana di Gioia Tauro è in diminuzione ma le loro condizioni restano drammatiche.

Il money transfer su una delle vie principali di Rosarno ha meno clienti, la fila nel weekend per spedire i soldi a casa non è come gli altri anni, questo è uno degli indicatori principali che i braccianti sulla Piana di Gioia Tauro sono diminuiti.

Molti sono rimasti al Nord, dove c’è più richiesta per la stagione e dove vengono pagati leggermente meglio, molti altri invece hanno perso le speranze di vedere il permesso di soggiorno rinnovato, in Italia sono clandestini e hanno scelto di proseguire il viaggio verso Nord: Ventimiglia e da lì Parigi, Amburgo, Berlino, Bruxelles o altre città europee che non garantiscono documenti ma dove ci sono comunità pronte ad accoglierli.

Questo è sempre stato uno dei punti fondamentali negli spostamenti dei migranti: parenti o amici che ti inseriscono in una comunità, in un lavoro precario, purché ti dia la possibilità di mandare i soldi a casa e non ti lasci nella solitudine del viaggio.

“Nei campi ci sono circa 700 persone, lo scorso anno erano molti di più. Poi ci sono quelli che vivono in casali abbandonati o altri luoghi d’emergenza” racconta Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope, progetto della FCEI, che da anni lavora nelle Piana di Gioia Tauro per dare sostegno ai braccianti. “Nonostante siano di meno, le condizioni di vita restano comunque drammatiche, se non peggiori. Hanno creato di nuovo un ghetto da quando la prefettura di Reggio Calabria ha abbandonato la nuova tendopoli” aggiunge Piobbichi.

Proprio attorno alla tendopoli di San Ferdinando in passato c’è stato molto dibattito: nel febbraio 2019 il Ministro degli Interni, Matteo Salvini, fece uno show con le ruspe a seguito dell’ennesimo incendio di una tenda nel quale perse la vita Al Ba Mussa, un senegalese di 29 anni che nel 2015 aveva ottenuto la protezione umanitaria, scaduta nel marzo 2018 e da quel momento senza documenti. La sera del 31 dicembre 2018 era stato arrestato dalla polizia di Gioia Tauro per detenzione di stupefacenti, tornando in libertà due settimane dopo.

Per il Ministro, che invocava le ruspe già dalla campagna elettorale, era troppo ghiotta l’occasione mediatica per mettere in atto un vero e proprio spettacolo che, nei mesi successivi, si è rivelato fine a se stesso.
A fine estate del 2019 infatti, dopo le calde giornate del Papeete e la crisi di governo, la Prefettura di Reggio Calabria ha allestito una nuova tendopoli a 500 metri dalla prima, che ancora mostrava i resti dello show che nessuno si è mai preoccupato di …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.