Perché la fusione nucleare non ci salverà

Siamo davvero – come hanno ventilato i ricercatori che hanno annunciato rilevanti progressi nella ricerca che porterà alla produzione di energia elettrica tramite fusione nucleare – alle porte di una nuova era in cui l’energia sarà ampiamente disponibile e il pianeta salvo?

Lo scorso 9 febbraio i ricercatori del consorzio Eurofusion hanno annunciato progressi rilevanti nella ricerca che porterà, presumibilmente nel giro di qualche decennio, alla produzione di energia elettrica tramite fusione nucleare, una tecnologia che, replicando il funzionamento delle stelle, promette di fornire energia potenzialmente illimitata e a bassissimo impatto ambientale. Gli stessi ricercatori, e molti media, hanno mostrato un certo entusiasmo annunciando addirittura l’avvento di una nuova era. Mi chiedo: siamo davvero alle porte di una nuova era in cui, si intende, l’energia sarà ampiamente disponibile e il pianeta salvo? Stiamo, cioè, davvero per uscire da quella che è stata definita l’era geologica dell’Antropocene o, come temo, non sarà la tecnologia a salvarci?

Nel 2016 lo storico inglese Jason Moore ha pubblicato un libro dal titolo Antropocene o Capitalocene. Scenari di ecologia-mondo nell’era della crisi planetaria, in cui possiamo individuare degli snodi decisivi per affrontare il problema ambientale a partire da una prospettiva globale e d’insieme. L’obiettivo di fondo del saggio è quello di spostare l’attenzione dall’impatto ambientale provocato dal processo di costante antropizzazione che investe il pianeta a quello di costante accumulazione. In un passo che reputo centrale, lo studioso afferma: «Spegnere una centrale a carbone può rallentare il riscaldamento globale per un giorno; interrompere i rapporti che costituiscono la miniera di carbone può fermarlo per sempre»[1].

Dobbiamo chiederci di quali rapporti parli qui Moore e se siamo forse legittimati a considerarli come gli stessi rapporti che costituiranno la centrale a fusione nucleare. La mia risposta non solo è affermativa ma considera la centrale a fusione nucleare come un’intensificazione di questi, un portarli alle loro estreme conseguenze. L’assunto centrale di Moore può essere infatti riassunto nel seguente modo: il nucleo incandescente di ciò che soggiace all’emergenza ecologica è da individuare in un bisogno intrinseco ben preciso del capitalismo che consiste nell’assicurarsi il costante approvvigionamento dei cosiddetti “quattro fattori a buon mercato” ovvero forza-lavoro, cibo, energia, materie prime[2]. Prendendo a prestito la definizione marxiana di lavoro sociale astratto, Moore chiama questo processo di approvvigionamento “astrazione sociale della natura”, ove lo sfruttamento della forza-lavoro è volto all’esplorazione (principalmente attraverso il lavoro mentale) e l…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.