Bosnia e Ucraina: possiamo imparare qualcosa da Sarajevo?

La guerra di Vladimir Putin contro l'Ucraina dovrebbe indurre l'Occidente a prestare maggiore attenzione ai giochi politici divisivi e distruttivi messi in atto dai leader nazionalisti nella Bosnia ed Erzegovina contemporanea.

In una manifestazione, la scorsa settimana a Sarajevo, contro la guerra di Putin in Ucraina, uno striscione recitava: «Impara da Sarajevo – Salva Kiev!». Negli stessi giorni, un mio amico bosniaco scriveva su Facebook: «Amici in Ucraina, non aspettatevi sostegno internazionale. Credetemi, lo so per esperienza personale».

Striscione e post mostrano due diversi modi di collegare la guerra del 1992-1995 in Bosnia ed Erzegovina e l’attuale guerra in Ucraina: uno esprime la speranza che l’Occidente non commetta gli stessi errori di allora e sostenga risolutamente l’Ucraina; l’altro mette in guardia contro ogni illusione e dà per scontato che l’Occidente non farà nulla.

Ciò solleva inevitabilmente la questione se l’attuale guerra in Ucraina e la guerra in Bosnia ed Erzegovina presentino dei parallelismi e se ci siano delle “lezioni” che possono essere tratte l’una dall’altra. Naturalmente, ogni situazione è specifica, i confronti storici sono sempre complicati e il paradigma delle “lezioni (non) apprese” abusato.

Tuttavia, potrebbe essere utile analizzare cosa hanno in comune e cosa no, e se si possono trarre alcune conclusioni da questo confronto.

Ci sono sicuramente delle somiglianze nelle politiche di Vladimir Putin nei confronti dell’Ucraina da un lato, e di Slobodan Milošević e Franjo Tuđman nei confronti della Bosnia ed Erzegovina dall’altro: lo Stato limitrofo attaccato viene definito artificiale e viene quindi negato il suo diritto di esistere; viene inventato un “genocidio” dei propri connazionali che deve essere fermato o prevenuto; una guerra di aggressione viene presentata come una guerra difensiva e i “parenti” etnici del Paese vicino sono usati per affermare brutalmente le proprie pretese di potere e territorio. L’obiettivo finale è l’espansione territoriale.

Somiglianze si possono vedere anche nell’atteggiamento dei Paesi attaccati: la forte volontà di molti bosniaci e ucraini di resistere, di difendere la propria indipendenza e integrità territoriale, così come il modo in cui si rivolgono al mondo esterno: «Siamo un Paese europeo, difendiamo i valori europei, e quindi dovete aiutarci».

Una somiglianza da questo punto di vista può essere rinvenuta anche nell’attuale remake del famoso poster “Wake up, Europe” creato dal gruppo di designer Trio Sarajevo in occasione della guerra in Bosnia nel 1993. A quel tempo il sottotitolo era: «Sarajevo chiama ogni uomo, donna e bambino». Nell’adattamento del 2022 si legge: «L’Ucraina chiama ogni uomo, donna e bambino».

Ma questo ci conduce anche a una differenza fondamentale tra gli anni Novanta e oggi: la reazione dell’Europa, o dell’Oc…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.