Salvare vite nel Mediterraneo

Nel libro “Mediterraneo. A bordo delle navi umanitarie” Caterina Bonvicini e Valerio Nicolosi (Einaudi) raccontano con parole e immagini l’esperienza vissuta sulle navi delle Ong che soccorrono i migranti. Ne proponiamo un capitolo.

TRIAGE

L’elicottero.

I Medevac sono sempre drammatici, ma in elicottero lo sono ancora di più. Quel pomeriggio dovevano portare via una donna che aveva ustioni profonde provocate dalla miscela di acqua di mare e carburante, la miscela maledetta.

Assistevo alla scena dal ponte di comando della Ocean Viking, c’era un silenzio assoluto. Si sentivano solo sospiri. I naufraghi erano stati radunati dentro ai container e quelli che non ci stavano sotto una tenda. Guardavo dall’alto il deck vuoto e lo trovavo sinistro. Quattrocento persone di colpo scomparse, come in una nave fantasma.

Il trasbordo mi è sembrato infinito, non so quanto sia durato in realtà. «È una delle operazioni più pericolose in assoluto, – mi aveva raccontato solo qualche giorno prima un ufficiale bulgaro. – Basta un piccolo errore del pilota e l’elicottero si schianta contro la nave –. Mi aveva parlato di Medevac in elicottero molto complicati: di notte, con il vento forte e il mare mosso. – Roba da restarci secchi tutti», sospirava. Forse avrei preferito non saperlo. Faceva già abbastanza impressione vedere un elicottero dell’aeronautica maltese a pochi metri dal vetro a cui ero appoggiata.

La donna aveva tre bambini che sono stati caricati su un cestino di metallo, li vedevo oscillare nel vuoto e mi chiedevo se avessero paura o se a loro sembrasse un gioco. Chissà. Io sarei stata terrorizzata a trovarmi lì appesa: una fune d’acciaio a sollevarti dalla nave, il mare spazzolato dal vento, appiattito dalle pale in un punto e subito oltre quel raggio grandi spruzzi, i fogli che volavano sopra i sacchi di salvagenti, la porta dell’elicottero aperta e l’entrata traballante, metà dentro la cabina e metà fuori, mani che ti tirano e tu che non sei ancora certo di essere arrivato, perché la manovra è lunga, guardi giù e ti vengono le vertigini.

Ancora più inquietante è stato vedere la barella arancione alzarsi dal ponte e dondolare; la sua lenta ascesa, durata forse pochi minuti, a me è sembrata un’eternità. Lei, divorata dalle ustioni, di colpo in cielo, verso quello strano paradiso, sospesa e in attesa – di smettere di soffrire tanto, almeno.

Quell’affidarsi al vuoto mi turbava davvero. Forse perché sono scene che siamo abituati a vedere solo nei film d’azione, nella loro magnifica irrealtà, e dal vero il nostro cervello si trova impreparato, non sa dove collocarle. Scene che rimandano automaticamente al fuoco, è l’unica esperienza visiva che hai. E a me il fuoco fa paura. In un film d’azione, quando l’elicottero compare, ci si aspetta un’esplosione. Quindi devi crearti nella testa un’alternativa contro anni e anni di cinema, devi lottare con un cervello plasmato, perché i tuoi neuroni non hanno altri percorsi noti. Io – come chiunque altro che non abbia mai visto prima un Medevac in elicottero da una nave, suppongo – inconsci…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.