Giustizia e verità

Questi testi di Camus, che affrontano temi diversi e sono riconducibili a differenti fasi dello sviluppo del suo pensiero, sono uniti da un filo rosso: la proposta di una filosofia autentica e radicale, mai neutrale, sempre appoggiata sulla ricerca della veridicità del linguaggio e sul rifiuto della menzogna.

(da MicroMega 6-13 / Acquista il numero su shop.micromega.net)

Presentazione di Andrea Bianchi

Verità e parola

I testi qui proposti, finora inediti in italiano, coprono circa un ventennio dell’attività di Albert Camus, dal 1938, quando era un giovane redattore di Alger Républicain, all’anno prima della morte. Nonostante la loro eterogeneità, per genere e occasione di stesura (si tratta di recensioni, lettere, articoli legati all’attualità politica, fino a un dialogo teatrale satirico a imitazione di Molière), è possibile ritrovarvi un filo conduttore, un leitmotiv tematico, che, d’altronde, è al centro di tutta la riflessione camusiana. Infatti, sia che commenti testi poetici o filosofici di autori da lui stimati (Ponge, Parain, Char), sia che illustri una sua presa di posizione politica, sia che si confronti con l’opera dell’amico-nemico Sartre, ciò che sta più a cuore a Camus è la ricerca della veridicità e la conseguente, costante riflessione sulla parola, su come evitare che il suo utilizzo tradisca l’obiettivo comunicativo primario cui dovrebbe servire, ponendosi invece al servizio della menzogna. La menzogna, per Camus, è mortifera; l’uso corretto del linguaggio diventa la questione etica fondamentale. Esprimersi in modo non veritiero significa «accrescere il dolore del mondo». Di qui la sorvegliata misura di uno stile definito, fin dai primi testi pubblicati, «classico» (a volte anche a fini polemici, per fare di Camus «solo» un moralista epigono della tradizione classica francese); di qui la predilezione per poeti, come Ponge e Char, che si mostrano prima di tutto coscienti della responsabilità che compete a chi scrive e sono alla ricerca di un uso nuovo e più autentico della parola; di qui l’interesse per le ricerche di Parain sui fondamenti metafisici del linguaggio; di qui, infine, il fastidio per ogni uso della lingua che privilegi l’oscurità, il gergo accademico, gli artifici dialettici e sofistici, il puro esercizio retorico (motivo dominante di quell’acre divertissement che è L’impromptu des philosophes). Nonché per quello che i philosophes del XVIII secolo chiamavano «esprit de système», che pretende di esaurire e ingabbiare una volta per tutte la complessità del reale e del vissuto, mettendo capo a ipostasi che si contrappongono all’inesausta ricerca di chi resta lucidamente fedele alla consapevolezza della finitudine umana. Questa tenace fedeltà al finito, e la conseguente scelta di una lingua chiara, di una prosa nitida comprensibile a tutti (Camus scrive, in una nota dei Taccuini: «Coloro che scrivono oscuramente hanno molta fortuna: avranno dei commentatori. Gli altri non avranno che dei lettori, il che, a quanto pare, è disprezzabile» 1), in cui ha un peso non trascurabile la sua origine sociale, saranno fra le cause di quel pregiudizio sfavorevole al Camus filosofo che solo negli ultimi anni sta lasciando il campo alla presa d’atto della profonda originalità e coerenza della sua riflessione.

Né Dio né Storia

Nel 1938, Camus ha venticinque anni e collabora ad Alger Républicain, il quotidiano fondato lo stesso anno per sostenere, ormai fuori tempo massimo, un Fronte popolare in piena crisi. Per distinguersi dai concorrenti algerini, Alger Républicain, in cui Camus è stato introdotto dal redattore capo Pascal Pia, vuole dotarsi di una tribuna culturale che ambisca a essere innovativa. Oltre a scrivere celebri reportage (come quello sulle condizioni di vita della popolazione della Cabilia), Camus tiene il «Salon de lecture», in cui recensisce le opere che attirano la sua curiosità di lettore. A quella data, ha pubblicato solo Il rovescio e il diritto, ha completato, ma non ancora dato alle stampe, Nozze e ha scritto alcuni timidi saggi critici su Verlaine, Jehan Rictus, la musica in Schopenhauer e Nietzsche, la «nuova cultura mediterranea». Dai Taccuini, sappiamo che sta lavorando a un romanzo, La morte felice, che non lo sod…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.