Delle donne e di Dio

Il femminismo islamico, il dibattito sul velo e il rapporto tra religione e patriarcato. Un’anteprima dal nuovo saggio di Giuliana Sgrena – “Donne ingannate. Il velo come religione, identità e libertà” (Il Saggiatore) – in libreria dal 12 maggio.

«Femminismo islamico» è un ossimoro. Si può essere femministe musulmane, cristiane, ebree ma non può essere la religione a garantire la libertà che il femminismo cerca. Tutte le religioni, infatti, discriminano le donne e rappresentano un supporto del patriarcato, come ho ampiamente documentato nel mio libro Dio odia le donne. Le femministe islamiche mirano all’affermazione dei propri diritti con la rilettura dei testi sacri, mentre le femministe laiche rivendicano la loro libertà appellandosi ai diritti universali.

Per quanto riguarda il velo portato dalle femministe islamiche, non serve una reinterpretazione del Corano: il libro sacro non prevede l’obbligo del velo. L’unica volta in cui viene citata la parola hijab nel Corano (Sūra 33,53) è questa: «Quando chiedete alle sue donne [le mogli del profeta] un oggetto, chiedetelo loro da dietro una tenda [hijab]». Siccome, a quei tempi, Maometto viveva nella moschea dove sostavano molti uomini, non voleva che avessero contatti diretti con le sue mogli.

E infatti «non si può essere femministe e difendere l’uso del velo. Sono due proposte contraddittorie. Il femminismo è una dottrina che rivendica l’uguaglianza sociale, giuridica e politica tra uomini e donne. Ora, il velo, in tutte le sue versioni, è fondamentalmente discriminatorio per le donne.

È sufficiente ricordare che è imposto alla donna e non all’uomo» sostiene Razika Adnani, filosofa e islamologa algerina che fa parte del Consiglio di orientamento della Fondazione dell’islam di Francia ed è autrice di numerosi libri, tra gli altri Islam: quel problème? Les défis de la réforme («Islam: quale problema? La sfida della riforma»).

L’uomo nei libri sacri è considerato l’immagine di Dio, quindi può presentarsi a lui senza coprirsi il capo, mentre la donna è stata creata per l’uomo, quindi deve manifestare la propria subalternità. Questa visione non riguarda solo l’islam, ma è sancita, per esempio, da san Paolo nella lettera ai Corinzi: «L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo, né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (Prima lettera ai Corinzi 11,7-10).

È questa inferiorità che insieme all’impurità – dovuta alle mestruazioni – impedisce alla donna di accedere o toccare il sacro. Eppure, ci sono donne – in tutte le religioni monoteiste – che hanno sfidato la misoginia dei capi religiosi e si sono appropriate di uno spazio, non sottostando a divieti ormai anacronistici.

La tras…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.