Cohn-Bendit: “In Ucraina è in gioco il futuro dell’Europa”

Daniel Cohn-Bendit, uno dei protagonisti del Sessantotto ed ex europarlamentare dei Verdi tedeschi, in questa intervista spiega perché è giusto sostenere anche con le armi l’Ucraina. E auspica un maggiore protagonismo dell’Europa.

Daniel Cohn-Bendit, molti osservatori sono rimasti sorpresi dal convinto sostegno dei Verdi tedeschi all’invio di armi all’Ucraina per difendersi dall’aggressione di Putin. Jürgen Habermas, in un recente articolo sulla Süddeutsche Zeitung ha parlato della “conversione dei pacifisti”. Si tratta davvero di una svolta?
La svolta in realtà c’è stata negli anni Novanta, all’epoca della guerra in Bosnia. Allora i Verdi erano parte del movimento pacifista che rifiutava qualunque tipo di intervento militare. Al congresso straordinario dei Verdi del 1993, insieme a pochi altri, presentai una mozione a favore di un intervento militare per la protezione della Bosnia musulmana: ottenne solo una ventina di voti a favore, contro circa 700 contrari. Sonora bocciatura. Anche la mozione di Joschka Fischer, all’epoca ministro degli Esteri, che proponeva la cosiddetta “eccezione Auschwitz” – ossia che di fronte a un rischio di annientamento, di genocidio, allora si deve intervenire – fu bocciata. All’epoca le migliaia di caschi blu dell’Onu presenti in Bosnia potevano fare tutto tranne che difendere i bosniaci con le armi. Poi arrivò il massacro di Srebrenica e successivamente il Kosovo. E lì che, se così vogliamo dire, i Verdi persero la verginità pacifista. Per quel che riguarda l’Ucraina, ricordo che prima del 24 febbraio, nonostante gli avvertimenti degli americani, tutti, ma proprio tutti, erano assolutamente convinti che Putin non avrebbe mai attaccato. E invece il 24 febbraio Putin invade l’Ucraina, rompendo drammaticamente con i princìpi stabiliti dalla Carta delle Nazioni Unite, che in casi simili naturalmente prevedono il pieno diritto della nazione aggredita di difendersi. E se noi siamo d’accordo che si tratti di un’aggressione in assoluta violazione del diritto internazionale e che gli ucraini hanno pieno diritto a difendersi, non possiamo certo pretendere che lo facciano senza armi. Habermas chiude il suo articolo con la bella frase “l’Ucraina non può perdere”. Ma se l’Ucraina non può perdere, deve potersi difendere efficacemente. Di fronte a una situazione del genere le chiacchiere pacifiste non hanno senso.

La gran parte di coloro che è contro l’invio di armi all’Ucraina, però, non mette in discussione il diritto degli ucraini di difendersi anche con le armi. Quello che si teme è che con più armi si inneschi una escalation che può condurre fino a una Terza guerra mondiale con l’uso delle armi atomiche.
E con meno armi Putin semplicemente si prende l’Ucraina. E se dopo aver preso l’Ucraina decidesse di prendersi anche i Paesi baltici? Basta sentire le cose folli che dice riguardo alla Grande Russia: per lui l’Ucraina non esiste come Paese indipendente, è parte della Grande Russia, e questo non vale solo per l’Ucraina. Putin ha una profonda ferita narcisistica legata alla sua personale vicenda biografica. Si trovava infatti a Berlino quando le ultime truppe della Ddr lasciarono la città. Una umiliazione che lo ha profondamente segnato. E se dicesse un giorno che anche Berlino appartiene alla Russia, saremmo ancora disposti a dire “pazienza, meglio questo che una guerra mondiale”? Io capis…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.