Cipro: porta d’Europa

Un reportage dall’isola di Cipro, diventata negli ultimi anni una porta attraverso la quale migliaia di migranti cercano quotidianamente di entrare in Europa. Una nuova rotta migratoria nel Mediterraneo orientale che sta portando al collasso il sistema cipriota di asilo.

Nel retrobottega di un ristorante tre donne africane sono sedute per godersi la prima pausa dal lavoro. Non hanno giorni liberi, né turni: l’unico turno è quello che comincia la mattina alle 10.00 e finisce alle 11.00 di sera. Ma per loro va bene così. Hanno bisogno di risparmiare per pagare un trafficante e varcare quel confine, così vicino, che le porterebbe in Europa. Ci troviamo nella Repubblica di Cipro del Nord, lo stato nato dall’invasione turca del 1974 che causò la spaccatura dell’isola in due territori: quello a maggioranza greco cipriota e quello a maggioranza turco cipriota. Quest’ultimo non è riconosciuto a livello internazionale. L’unica nazione a riconoscerne l’indipendenza è la Turchia. Le due parti sono ancora lungi dall’aver trovato una soluzione a questa spaccatura. E l’isola è ancora divisa per 180 km dal filo spinato che segna l’inizio della Green line, un’area demilitarizzata sotto il controllo dei caschi blu dell’ONU. Negli ultimi anni questa zona cuscinetto è diventata, grazie all’aiuto dei trafficanti, una porta per entrare in Europa per le migliaia di migranti che quasi quotidianamente tentano di varcare il confine.

A spiegarci il meccanismo è Joseph, un ragazzo liberiano che incontriamo di fronte al campo profughi di Pournara, nella Repubblica greca di Cipro. “Dal mio Paese mi sono iscritto all’Università di Cipro del Nord. Una volta ricevuto il visto da studente sono partito alla volta di Nicosia. Non sono rimasto nemmeno un giorno nella parte turca”. La sera stessa del suo arrivo, infatti, Joseph si nasconde nella macchina di un trafficante che lo aiuta a varcare la prima frontiera, quella turca. Dopo pochi chilometri questo lo lascia nella buffer zone e lo incita a correre: “Io e gli altri ragazzi che erano con me abbiamo corso per quaranta minuti. Il trafficante ci urlava ‘run, run, run’. Era notte fonda e a malapena si vedeva in che direzione stessimo andando. Poi un’altra macchina, più avanti, ci ha ricaricati. Ha guidato per altri venti minuti e poi ci ha lasciato in un altro punto ancora. La stessa cosa con altri due trafficanti finché, con l’ultimo, abbiamo varcato la frontiera greco-cipriota”.

Una specie di staffetta di trafficanti che ci viene confermata anche da altri rifugiati che incontriamo. C’è chi invece di essere preso e scaricato quattro volte, deve correre per più chilometri perché le macchine sono solo due. Anche Alì è riuscito ad arrivare dall’Afghanistan con lo stesso metodo di Joseph: ha prima ottenuto un visto da studente nell’università della Repubblica turco cipriota e dopo essere giunto in Iran, è volato a Nicosia. “Non ho mai messo piede all’università. Avevo bisogno di risparmiare per pagare un trafficante che mi portasse dall’altra parte”. E anche lui, come le ragazze africane nel retrobottega del locale turco, ha lavorato per tre mesi come cameriere in un ristorante, tutti i giorni senza pause. Dopo l’estenuante corsa nella buffer zone anche lui è riuscito ad arrivare in Europa. Chi invece viene beccato rischia fino a 12 mesi di detenzione. Come rivela in un’intervista al Cyprus Mail la direttrice del dipartimento delle carceri di Nicosia, Anna Aristotelous, a…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.