Testimone di guerra. Intervista a Lorenzo Cremonesi

Nel libro “La guerra infinita” (Solferino) l’inviato del “Corriere della Sera” racconta 40 anni di conflitti seguiti in giro per il mondo, dal 1982 a Beirut fino a quello in corso in Ucraina. Lo abbiamo intervistato.

Esattamente 40 anni di guerre, dal 1982 a Beirut fino a quella in corso in Ucraina. La carriera di Lorenzo Cremonesi, inviato del Corriere della Sera, è una testimonianza di quello che è avvenuto attorno a noi, a volte più vicino altre volte meno. Cremonesi racconta questi 40 anni nel libro “La guerra infinita”, edito da Solferino. MicroMega lo ha intervistato.

La prima domanda la vorrei fare proprio su come inizia questo racconto: perché, per raccontare le guerre che hai visto e seguito in giro per il mondo, hai iniziato da tuo nonno e dalla Milano del dopoguerra?
Perché questo libro nasce da una preoccupazione molto profonda che ho per l’Europa. Più che italiano mi sento profondamente europeo e penso che non siamo preparati ad affrontare le guerre che in questi anni si sono scatenate vicino a noi. Parto da quel mondo perché racconto chi era disposto a sacrificarsi per la libertà. Oggi in Europa non siamo più disposti a farlo e ci mancano le chiavi di lettura per capire quello che avviene. Siamo cresciuti con la frase di Brecht: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, mentre oggi purtroppo ne abbiamo bisogno di nuovo. Lo abbiamo visto con Zelensky all’inizio di questa guerra, quando ci ha spiazzato la scelta di non accettare l’evacuazione offerta dagli USA e di restare anche a costo di morire.

Nel libro racconti la tua formazione personale e accademica: hai partecipato al grande movimento del ‘68, avevi un forte interesse per Israele, eri volontario in un kibbutz e facevi ricerca proprio su questo modello di comunità non coercitiva e di impostazione socialista. La guerra era qualcosa di lontano dai tuoi interessi e ti sei ritrovato quasi per caso a fare l’inviato in zone di conflitto.
La guerra mi è capitata addosso, non l’ho cercata. Come hai detto tu, ero interessato a Israele, facevo ricerca e vivevo a Gerusalemme quando ho iniziato a collaborare con il Corriere della Sera. Prima sono andato in Libano, nel 1982, e poi la prima Intifada.

A guardarle con gli occhi di oggi, queste sembrano guerre molto lontane per come i giornalisti lavoravano sul campo.
Oggi siamo in guerra con il 4G, possiamo trasmettere tutto e capire cosa succede in diretta a centinaia di chilometri. Io sono un appassionato di montagna e nel 2004 sono andato sull’Himalaya: viaggiavo con …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.