La violenza sulle donne migranti

Le leggi e le prassi che regolamentano il diritto all’immigrazione sono la cartina di tornasole di un sistema in cui permangono registri di dominio d’ostacolo al contrasto della violenza e delle discriminazioni verso le donne di origine straniera.

Il diritto dell’immigrazione, nel regolamentare le procedure d’ingresso delle persone straniere sul territorio ha previsto procedimenti finalizzati alla tutela del diritto all’unità familiare, quale corollario necessario alla circolazione delle persone straniere. La stessa direttiva europea, sul ricongiungimento familiare[1] ne valorizza il ruolo di “strumento necessario per permettere la vita familiare” della popolazione straniera, fondamentale per la costruzione di una stabilità socio culturale alla coesione economica e sociale e all’integrazione.

La disciplina della tutela dei legami familiari, non è tuttavia neutra tanto che il Comitato Cedaw nella raccomandazione n. 21 sull’uguaglianza nel matrimonio e nelle relazioni familiari ha ammonito gli Stati anche in relazione a queste procedure. E lo sguardo sull’esperienza delle donne mette a nudo come le leggi e le prassi connesse a questa forma di soggiorno siano dense di contraddizioni, cartina di tornasole di un sistema in cui permangono registri di dominio che non solo sono d’ostacolo all’adempimento degli obblighi di tutela dalla violenza, i quali gravano sulle istituzioni, ma che divengono essi stessi condizione di discriminazione.

Il contesto

Negli anni, all’interno della popolazione straniera presente sul nostro territorio, le donne hanno rappresentato una componente sempre più significativa, al punto che oggi le cittadine non europee presenti in Italia costituiscono oltre il 51%[2] del totale della popolazione straniera. Sempre più numerose sono coloro che giungono da sole, divenendo le protagoniste di un progetto migratorio più ampio, con la responsabilità sociale e familiare di occuparsi a distanza del mantenimento ordinario delle loro famiglie e in particolare dei loro figli attraverso le loro rimesse.

E tuttavia, ancora nel corso del 2020 su 106.503 nuovi permessi rilasciati, 51.798 hanno riguardato donne e di questi il 68,3 % era per ricongiungimento con familiari già presenti sul territorio (68,3%). Il ricongiungimento, è, pertanto, ancora il canale prevalente di ingresso e soggiorno regolare delle straniere sul territorio italiano. Ne deriva che la condizione femminile delle donne di origine straniera, può essere compresa solo attraverso la contemporanea considerazione dei dati sull’occupazione e della forte dipendenza giuridica ancora esistente rispetto ai componenti della famiglia. L’ambito lavorativo prevalente delle migranti sul territorio, rimane ancora oggi il settore dei servizi alla persona[3] (soprattutto di bambini ed anziani) e alla pulizia (collaboratrici domestiche e assistenti familiari), frutto di un welfare privatistico e sessista che con il rafforzamento della presenza femminile nel mercato del lavoro si è limitato ad affidare ad altre donne il carico …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.