Il potere teme l’immagine solo se suscita un pensiero

Nel suo libro "Orfani del vento - L'autunno degli zingari", edito da Mimesis, il fotoreporter Tano D'Amico racconta una popolazione che "non conosce la parola del potere". Pubblichiamo una parte dell’intervista realizzata da Mario Accolti Gil per MondOperaio e pubblicata nel volume.

La prima cosa che balza agli occhi guardando queste fotografie è che i tuoi zingari sono belli. Perché?

I miei zingari sono belli? Ma nella letteratura occidentale, nelle antiche ballate dalla Scozia alla Sicilia, troviamo zingari e zingare di grande fascino e bellezza. Basta pensare a Carmen. C’è da chiedersi quindi, piuttosto, perché oggi non vengano più non dico rappresentati ma neppure accettati come belli. Le mie fotografie di zingari belli non sono riuscito a venderle a nessun giornale. I direttori la bellezza arrivano a concederla tutt’al più ai bambini, come si fa coi cuccioli di gorilla.

C’è però anche una certa provocazione nel proporre zingari belli occultando una loro condizione di fatto che ce li mostra invece brutti, sporchi, emarginati, infelici.

Infelici gli zingari penso che siano stati sempre. Potrei citare alcune cronache del nostro Rinascimento maturo in cui troviamo delle “cacce” allo zingaro. A Venezia, per esempio, gli ebrei venivano arsi vivi; lo zingaro no, è silvestre, era meglio dargli la caccia, fargli fare la volpe. Il popolo Rom non conosce la parola scritta, la parola del potere, e sta qui la principale radice della sua diversità. I suoi alleati da sempre sono piuttosto la musica e l’immagine. C’è chi dice per esempio che Stradivari fosse zingaro.

Forse però fra i direttori che non hanno pubblicato le tue foto di zingari belli ce n’era qualcuno che magari avrebbe preferito foto di denuncia, che mostrassero gli zingari nella loro reale condizione di emarginazione e sofferenza.

A proposito delle foto di denuncia ti risponderò con una parabola. Siamo nel 1520. Dürer fino a quel momento, accanto alla sua produzione maggiore, aveva disegnato con la sinistra delle stampe sui contadini di un umorismo piuttosto pesante. Ebbene, quando nel 1520 i contadini si ribellano in nome di altissimi princìpi (Cristo è morto per tutti, dicevano, per l’Imperatore come per l’ultimo garzone di stalla), e vengono sterminati, Dürer passa dalla loro parte. È interessante vedere che le stampe non di Dürer che raffiguravano il genocidio dei contadini perpetrato dai signori avessero libero corso, mentre egli, che si era limitato a cambiare il modo di rappresentare i contadini, con dignità invece che con ironia, fu perseguitato. Certo, Dürer aveva m…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.