Anche i parchi naturali hanno la loro Storia

Il Parco Nazionale d’Abruzzo compie un secolo. La sua storia, che si intreccia con quella del parco del Gran Paradiso e di tutti quelli che nacquero successivamente, contiene in filigrana la storia tutta del rapporto contraddittorio e predatorio fra la classe dominante del Paese e i suoi territori.

Le vecchie foto delle grandi battute dei sovrani Savoia nelle loro numerose riserve di caccia oggi ci fanno rabbrividire. Bastava una giornata di appostamenti preorganizzati per immolare ai piaceri venatori della corte decine e decine di stambecchi e di camosci.  Le elaborate decorazioni delle gallerie del castello di Sarre, in Valle d’Aosta, tutte realizzate con le corna della selvaggina montana di volta in volta abbattuta, restano come macabra testimonianza di passatempi aristocratici oggi assolutamente inaccettabili. E tuttavia quelle periodiche stragi, per quanto orrende, erano nulla in confronto all’endemica attività dei cacciatori locali e dei bracconieri lungo il resto dell’arco alpino e appenninico. Tanto è vero che lo stambecco scomparve dovunque, ad eccezione delle riserve reali, sorvegliate da stuoli di guardacaccia e all’interno delle quali ai valligiani era severamente vietato andare in giro armati di schioppi. Non è dunque un caso se i primi parchi nazionali italiani vennero istituiti entro i confini di due riserve di caccia dei Savoia, con lo scopo principale di proteggere la fauna: quello del Gran Paradiso, tra il Piemonte e la Valle d’Aosta, e quello della Valle del Sangro, tra la Marsica e la Ciociaria, che prese il nome di Parco Nazionale d’Abruzzo. I due parchi nazionali, pur avendo in comune la stessa origine, e pur essendo stati formalmente istituiti entrambi cento anni fa, a pochi mesi uno dall’altro, avevano alle spalle storie molto diverse, così come poi ebbero diversi i destini.

Il percorso che portò all’istituzione del parco del Gran Paradiso in realtà non fu molto travagliato. Il re Vittorio Emanuele III, considerando che la corte si era ormai trasferita a Roma, troppo lontana dagli svaghi venatori piemontesi, nel 1919 offrì al demanio dello Stato la riserva del Gran Paradiso, di ben 65.000 ettari, suggerendo lui stesso la possibilità di trasformarla in un parco nazionale sul modello di quello svizzero dell’Engadina. Se alla base di tale decisione ci fosse anche il proposito di risparmiare le non indifferenti spese per il mantenimento delle case di caccia e per gli stipendi dei guardacaccia e dei battitori, non ci è dato sapere. Il progetto tuttavia rimase a sonnecchiare per due anni, sepolto nelle carte dei vari ministeri, finché fu riscoperto dal primo governo di Mussolini e immediatamente istituito “di imperio” come visibile dimostrazione della virile efficienza del fascismo. Era il 3 dicembre del 1922. La stessa sorte toccò al Parco d’Abruzzo, il 10 gennaio del 1923. Ma in questo…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.