Le radici ideologiche dell’autonomia differenziata

Resistere all’introduzione dell’autonomia differenziata è difficile perché anche molti che la criticano hanno assorbito la visione antistatalista e antimoderna di neoliberisti, cattolici e leghisti.

L’autonomia differenziata è il cavallo di battaglia della Lega, un partito “federalista” in crisi, assorbito elettoralmente dal “nazionalista” Fratelli d’Italia. Ciò nonostante il progetto dell’autonomia differenziata resta forte, perché ha radici più profonde di quanto generalmente si riconosca.

L’esito sembra dipendere più da dinamiche interne alla maggioranza di destra (l’eventuale scambio tra presidenzialismo e autonomia differenziata) che dalle forze politiche all’opposizione che ne denunciano le conseguenze, ma che (molte di loro, sia pure a vari gradi di responsabilità) ne sono state promotrici.

Anche coloro che si oppongono con decisione all’autonomia differenziata, criticano molto il prevedibile effetto (l’aumento delle disuguaglianze, la secessione dei ricchi) ma poco le ideologie che lo sostengono; alcuni assumono proprio i valori delle visioni del mondo di chi promuove l’autonomia differenziata. Serve la massima unità, anche la flessibilità per alleanze tattiche, ma un’opposizione priva di una propria autonoma e organica visione del mondo è inevitabilmente meno efficace.

L’esito, se non peggiore, potrebbe essere il “compromesso” rappresentato da una autonomia differenziata “buona” (alla Bonaccini[1], contrapposta a quella “cattiva” di Calderoli) che limita gli effetti più devastanti con delle “toppe” (compensazioni, LEP, ecc.) ma che accetta l’ulteriore destrutturazione della funzione pubblica dello Stato.

Il federalismo divisivo della Lega
Gianfranco Miglio è l’ideologo della Lega, nonostante abbia dissentito a suo tempo da Bossi e certamente dissentirebbe con ancora più forza dalla fallimentare trasformazione della Lega Nord nella Lega per Salvini Premier. Le “teorizzazioni” leghiste hanno oscillato tra secessionismo (con l’invenzione della Padania), devolution (fallita con la bocciatura del referendum costituzionale del 2006), federalismo fiscale di Calderoli, sovranismo di Salvini; il riferimento più organico, comunque, resta quello dell’analisi di Miglio.

Gianfranco Miglio sosteneva che l’Italia era stata unificata formalmente dalle norme imposte dai piemontesi, ma restava sostanzialmente divisa (era di fatto “criptofederalista”). Con la caduta del muro di Berlino del 1989 lo Stato-nazione della modernità era giunto al capolinea e sarebbe stato presto sostituito da una società pluricentrica, basata su aggregazioni territoriali e categoriali, “com…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.