La forza concreta del pensiero critico: ritratto di Alberto Asor Rosa

In memoria di Alberto Asor Rosa scomparso a fine dicembre 2022, pubblichiamo la relazione tenuta da Franco Moretti in Campidoglio a Roma, durante la giornata di ricordo organizzata dall'assessore alla cultura Miguel Gotor il 1° febbraio scorso.
Alberto Asor Rosa

Muore una persona che ha lasciato un segno, e uno si interroga sul significato della sua vita e del suo lavoro. Come si è intrecciata, la storia di Alberto Asor Rosa a quella della cultura italiana?

Più di cinquant’anni fa, quando Asor mi toccò come professore di italiano (era quello assegnato agli studenti di lingue e letterature straniere), tutto mi aspettavo meno quello che trovai. Faceva un seminario su divisione del lavoro e lavoro intellettuale in Smith, Hegel, Marx, Weber; nel corridoio dell’istituto era ancora affisso il programma dell’anno prima, sull’Anima e le forme; poi venne un corso sulle avanguardie europee, e i saggi di Contropiano su Lukacs teorico dell’arte borghese e Thomas Mann. Era una cosa un po’ inaudita per un professore di letteratura italiana, però non era una scelta di tipo disciplinare. Non è che Asor volesse insegnare letteratura europea o comparata invece dell’italiano, è che per lui l’orizzonte nazionale era stato superato, esautorato quasi, dall’irrompere della produzione capitalistica, la quale ormai colorava di sé il lavoro culturale ovunque e in tutte le sue forme. Asor parlava di Breton e Blok invece che di D’Annunzio non perché fosse comparatista, ma perché era marxista. Era da quel punto di vista che osservava il mondo, e che gli veniva naturale di spingere lo sguardo molto al di là dei confini nazionali.

E non era solo una questione di ampiezza, il marxismo di quegli anni; più importante ancora era il modo in cui cambiava il rapporto con ciò che si studiava. Alla Sapienza, un mese fa, il giorno in cui si è ricordato Asor subito dopo la sua morte, qualcuno ha detto che si comprende solo quel che si ama. Che dire, l’autore di Scrittori e popolo Cassola e Pasolini non li amava di certo, però li capiva, e li capiva perché li affrontava con assoluta intransigenza: incideva in modo forse perfino un po’ spietato l’ideologia del popolo per tirarne fuori la classe. Il conflitto aveva un valore ermeneutico, faceva scoprire le cose. E lo faceva anche sul versante opposto, quello altoborghese-europeo, dove Asor mostrava quanto vi fosse da imparare, sulla logica del sistema capitalistico, e ancor più sulla sua crisi, da chi era non solo estraneo all’universo della sinistra, ma in un certo senso persino ostile. Hegel, Nietzsche, Weber, più tardi Schmitt, forse c’era anche una qualche curiosità per la puzza di zolfo…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.