Il Padrino: 50 anni dopo gli Oscar la leggenda continua

Esattamente 50 anni fa Il Padrino vinceva gli Oscar per miglior film, miglior attore protagonista (Marlon Brando) e miglior sceneggiatura. Il capolavoro di Francis Ford Coppola si proiettava in una dimensione leggendaria che perdura ancora oggi.

“È la storia di un re che ha tre figli, uno possiede la sua anima gentile, uno la sua intelligenza, uno la sua forza”: chissà quanti riconoscerebbero in questa sintesi la trama del Padrino. Eppure è il modo in cui Francis Coppola, quando ebbi una conversazione con lui, alla Festa del Cinema, di fronte ad un pubblico di un migliaio di persone nel 2007, raccontò l’essenza della storia del film, che fu incoronato re degli Oscar, e del box office, esattamente 50 anni fa. Qualcuno potrebbe in realtà semplicemente dire che Il padrino racconta di Michael Corleone che cerca di liberarsi della propria famiglia e finisce per diventare colui che non si farà alcun scrupolo di fare qualsiasi cosa per salvarla. Oppure si potrebbe dire che il film è una storia di violenza e corruzione che ha il suo doppio nello Stato: il Padrino è un film degli anni ’70, che sono quelli in cui il cinema perse del tutto l’innocenza necessaria a dipingere l’America come un paese di giustizia e opportunità. È un film che è un mistero, perché divenne all’epoca il film americano di maggior successo sigillando il proprio finale che montava insieme un battesimo ed un massacro: una fede blasfema celebrata dal cupo splendore della violenza di una stirpe italo americana. Cosa lo rende ancora oggi così popolare?

Quando Sydney Lumet, un regista affermatosi vent’anni prima di Coppola, venne a Roma per un incontro, nel 2006, gli chiedemmo di far vedere la scena di un film che amava molto. Scelse il colloquio finale tra Michael e Fredo (John Cazale) del Padrino II, la madre di tutte le serie contemporanee, i Sopranos, è popolata da mafiosi che rifanno all’infinito, con godimento, scene del film. Quando Coppola finì il film, era convinto, in realtàà, che sarebbe stato una catastrofe al botteghino. Quand’era stata l’ultima volta che un gangsterfilm aveva conquistato il pubblico? Negli anni ’40? Il suo montatore gli parlava di quanto gli era piaciuto un noir, un crime pieno di inseguimenti, Il braccio violento della legge, di William Friedkin, e Coppola tornava a casa, dalla moviola, sconsolato, convinto che quel film non l’avrebbe visto nessuno. Non aveva capito neanche lui che era la storia di un uomo puro che accoglie in sé il male, che Il Padrino raccontava la storia di un mond…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore, Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze, le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.