Quando a uccidere è lo Stato

La pena di morte continua a essere praticata non solo in regimi autoritari ma anche in alcune democrazie, Stati Uniti in testa. Le ragioni a favore della pena capitale non trovano però riscontro nei dati e stanno iniziando a perdere consensi, almeno nel mondo occidentale.
Pena di morte

Nel 1761, un protestante francese di nome Jean Calasdi Tolosa fu condannato a morte e giustiziato. Era ritenuto colpevole di aver ucciso uno dei suoi figli perché aveva intenzione di convertirsi al cattolicesimo. Voltaire, già all’apice della sua fama, condusse delle indagini e riuscì a far riaprire il caso. Il giustiziato fu dichiarato innocente. Prima ancora che il processo si concludesse definitivamente, venne pubblicato un libro che sarebbe diventato il manifesto degli oppositori della pena di morte per i successivi secoli. Si intitola Dei delitti e delle pene ed è statoscritto da un giovane giurista di Milano, Cesare Beccaria. Solo dieci pagine sono dedicate alla pena di morte, ma sono quelle che hanno reso famoso il libro. Qui, per la prima volta, la pena di morte viene respinta come illegittima in linea di principio, perché se nessuno ha il diritto di uccidere sé stesso, allora nessuno può trasferire tale diritto ad altri né tantomeno alla società; oltre che illegittima, la pena di morte viene giudicata anche del tutto inutile, giacché per proteggere la collettività dal reo l’ergastolo, argomenta Beccaria, non è meno efficace della pena capitale. Infine, anche l’argomento dell’effetto deterrenza è secondo Beccaria debole, perché ad avere un maggiore effetto deterrente è certamente più la vista delle sofferenze a vita della persona incarcerata che non lo spettacolo dell’esecuzione, presto dimenticato.

Per Beccaria c’erano anche motivi etici per rifiutare la pena di morte. Per il giurista italiano infatti le leggi dovevano avere un effetto nobilitante sulla morale delle persone e non dare loro un esempio di barbarie.  Secondo questa impostazione, è quindi assurdo che si commetta un omicidio in nome di quelle stesse leggi che lo stigmatizzano e puniscono; che per impedire ai cittadini di uccidere, si uccida. Il libro di Beccaria fu presto tradotto in numerose lingue. Dopo averlo letto, anche Voltaire divenne un appassionato oppositore della pena di morte. Il filosofo francese non si limita però a ripetere le argomentazioni di Beccaria; egli è uno dei primi a sollevare anche un altro argomento come obiezione alla pena di morte: la possibilità di un errore giudiziario, che chiama omicidio giudiziario. Una provocazione in un’epoca in cui il “bene dello Stato” era al centro di tutte le correnti filosofiche e politiche.

Deterrenza e retribuzione

Negli ultimi 250 anni nel mondo occidentale le argomentazioni a favore o contro la pena di morte si sono concentrate soprattutto su due princìpi: quello della deterrenza e quello della retribuzione. La tesi che una punizione irrevocabile come la propria morte dissuada le persone dal commettere crimini efferati è stata contestata da numerosi autori fin dal XVIII secolo. Avvocati penalisti, psicologi, medici, politici e filosofi hanno sottolineato che si danno due opzioni: nel caso di un crimine razionalmente pianificato l’autore presume che non sarà catturato, mentre chi commette un atto di violenza gravissimo come l’omicidio nella concitazione del momento – cosa che accade nella stragrande maggioranza dei casi – non è nelle condizioni di soppesare o valutare le conseguenze delle proprie azioni. In entrambi i casi dunque l’effetto deterrenza sarebbe inesistente.

Le statistiche che dovrebbero fornire prove a sostegno del valore deterrente della pena …

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

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