Quarant’anni senza John Fante: una rivalutazione che non ne cancella le ombre

A quarant’anni dalla morte, John Fante è un autore di culto anche grazie all’opera di suoi estimatori come Charles Bukowski. Ma questa rivalutazione di un sostanziale esordiente postumo, che solo dopo la sua scomparsa si è guadagnato l’immortalità artistica tanto anelata in vita, non cancella alcune ombre della sua cifra umana e artistica.
John fante

A quarant’anni dalla morte dello scrittore John Fante (Denver, 8 aprile 1909 – Los Angeles, 8 maggio 1983) mi azzardo a tentare una riflessione sulla sua clamorosa quanto unanime rivalutazione arrivata ad assumere, a tratti, le caratteristiche di una vera e propria santificazione.  Parliamo di un fenomeno che ha riguardato sia la critica sia il pubblico dei lettori tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, dalle proporzioni tali da poter essere considerato uno dei più eclatanti casi letterari del Novecento.

Lo strano caso di un esordiente postumo

Una rivalutazione tardiva, dovuta in gran parte all’abnegazione dello scrittore Charles Bukowski, che, come è noto, fece casualmente la conoscenza dell’opera di John Fante nel 1978, quando in una biblioteca di Los Angeles sfogliò una copia di Chiedi alla polvere e ne rimase folgorato. Bukowski recuperò tutta la bibliografia di Fante, la lesse e ne divenne un grande estimatore, tanto da arrivare a definirlo “il mio dio” e “il narratore più maledetto d’America”.

Nei primi anni Ottanta, convinse (alcuni sostengono che costrinse) il suo editore John Martin a ristampare, con la sua Black Sparrow Press, Chiedi alla polvere, Sogni di Bunker Hill, Aspetta primavera, Bandini e, nel 1985, due anni dopo la morte di Fante, La strada per Los Angeles.

John Fante divenne così una sorta di esordiente postumo, in quanto la sua opera fu oggetto di una riscoperta che si allargò a macchia d’olio attirando le attenzioni di molti artisti che trassero ispirazione dai suoi romanzi (in Italia, il cantautore Vinicio Capossela dedicò una canzone ai suoi personaggi). Negli anni a seguire, Fante venne addirittura accomunato alla scia della new wave della letteratura americana fra nomi quali Brett Easton Ellis, David Foster Wallace e Jay McInerney, nonostante i suoi lavori fossero antecedenti di quasi cinquant’anni. A onor del vero, in comune con questi autori Fante ha ben poco: forse il modo di tratteggiare la città di Los Angeles che, a distanza di mezzo secolo, mantiene le caratteristiche di sfondo sensuale, pigro e allucinato, ideale per ambientare storie di autobiografismo duro e spigoloso, condite da droga, sesso, sofferti conflitti interiori.

Una parte della critica Italiana si è spinta fino a definire Fante uno degli scrittori più importanti della sua generazione, alla stregua di Hemingway, Faulkner, Steinbeck. Parlo, in particolare, del movimento culturale che opera nell’ambito del John Fante festival | il dio di mio padre, inaugurato quasi vent’anni fa a Torricella Peligna, piccolo comune abruzzese luogo d’origine della famiglia paterna dell’autore.

Ma se è vero che Bukowski e la critica mondiale si sono accorti, se non dell’esistenza, quantomeno della rilevanza di Fante solo a partire dagli anni Ottanta, c’è qualcosa che non torna in questa considerazione che potrebbe suonare azzardata.

Proviamo a fare il punto sull’opera letteraria di John Fante per capire, senza preconcetti e senza toni enfatici, qual è stata la sua …

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.