La battaglia contro i matrimoni forzati in Italia è in pieno svolgimento

Una ragazza indiana ha denunciato, nel modenese, la sua famiglia per violenze finalizzate all'induzione al matrimonio. La rete di solidarietà delle donne nel suo caso l'ha protetta scongiurando un destino come quello di Saman Abbas. Ma i matrimoni forzati sono una realtà ancora troppo spesso trascurata, talvolta dietro l'altare delle "differenze culturali". Donne in politica e nelle associazioni, insieme alle coraggiose protagoniste che si liberano in prima persona, stanno agendo perché non sia più così.
Matrimoni Forzati - Corde, non catene, di Jorge Eduardo Becerra Ramirez

Poteva essere un’altra Saman la ragazza indiana residente nell’Appennino modenese che alla fine di aprile ha avuto il coraggio di denunciare l’intera famiglia per maltrattamenti, induzione e costrizione al matrimonio, che è stata dapprima ospitata dalla preside dell’Istituto tecnico che frequenta nel bolognese e, solo il giorno successivo alla denuncia, posta sotto regime di protezione assieme al fidanzato e alla famiglia di lui. Un’altra vittima dei matrimoni forzati.
Percossa, minacciata, sminuita, violata della capacità di scelta e autodeterminazione, privata della libertà di frequentare coetanei e coetanee o attività extrascolastiche, segregata da mesi in un binario quotidiano che la conduce solamente da casa a scuola. E, giunta nella prigione delle mura domestiche di un paese dove vive da soli quattro anni, le requisiscono il cellulare per evitarle ogni contatto con l’esterno. La situazione precipita ulteriormente quando padre, madre nonna e zia apprendono, dagli stessi ingenui racconti della giovane, di quel ragazzo di cui si è innamorata e che mette a repentaglio l’onore della famiglia, la quale ha già organizzato per lei un matrimonio in patria rispettoso dei dettami di casta e dell’obbedienza a leggi arcaiche, che impongono il mantenimento del patrimonio economico all’interno del clan familiare. Un matrimonio che lei non vuole. Si ribella, ma la minacciano tappandole naso e bocca mentre mimano il taglio della gola, prendendola a calci sulla pancia pensando erroneamente che sia incinta, rinchiudendola in camera, costringendola al digiuno e poi a bere un “latte cattivo che l’ha fatta addormentare e svegliare con il mal di testa”. Le sequestrano i documenti preparando i suoi effetti personali per tornare il prima possibile in India e consegnarla al controllo vigile del futuro marito.

Il trasferimento in una struttura sicura è arrivato per lei solo dopo l’intervento del questore di Bologna Isabella Fusiello e a seguito del clamore mediatico scatenato dalla vicenda. “Siamo state cinque ore in commissariato ad attendere il suo destino: essendo maggiorenne i servizi sociali hanno ritenuto di non adottare la collocazione obbligatoria offrendole di passare la notte in bed and breakfast: la preside ha così preferito ospitarla dimostrando l’esistenza di una scuola che non si limita ad insegnare, ma che offre un aiuto concreto. Solo il giorno seguente è stata messa in sicurezza”, ha spiegato l’avvocata Barbara Iannuccelli, che la diciannovenne ha contattato via social in quanto legale di parte civile per il femminicidio di Saman Abbas, la diciottenne di origini pachistane, residente a Novellara, per il quale sono rinviati a giudizio cinque familiari fra cui padre, madre e zio. “È comunque grave constatare che nonostante fossimo in presenza di un Codice Rosso sia completamente saltata la rete di sostegno che deve immediatamente attivarsi per chi denuncia. Gli strumenti ci sono, bisognerebbe accelerare l’efficacia delle risposte”, continua. “Sto lavorando affinché, con un decreto di perquisizione, si recuperino i documenti: passaporto e permesso di soggiorno, peraltro legato a quello lavorativo del padre, ancora in possesso della famiglia che al momento è indagata ”.

La rete di solidarietà creatasi attorno alla giovane fatta d’insegnanti, associazioni e la stessa avvocata, si sta muovendo per farla sposare con quel compagno che rappresenta, per lei, la sola scelta apparentemente libera. “Ci tiene moltissimo al diploma e, benché non possa frequentare questo ultimo mese di scuola, sosterrà la maturità. Pensa al matrimonio e al ragazzo con cui è costantemente in contatto tramite un telefono segreto che lui le ha dato per comunicare – racconta l’avvocata – quando parla di lui le si illuminano gli occhi: è sikh come lei, di due anni più grande, lavora in fabbrica come operaio tecnico e vive con la madre, mentre il padre, anch’esso operaio, fa il pendolare da Roma. Una famiglia normale, che ha accolto bene questa relazione e che intende garantire loro la felicità: la madre di lui ha già comprato l’abito nuziale. Abbiamo evitato un’altra Saman”.

Una legge dentro il decreto Cutro
Il disegno di legge conosciuto come ‘Legge Saman’ a prima f…

Un giovane scrittore fra la Columbia University e Parigi

La testimonianza di uno dei protagonisti della letteratura mondiale che ha vissuto il movimento come studente alla Columbia University. Dopo un breve periodo a Parigi prima del Maggio francese, decisivo nella sua formazione di giovane scrittore,
Paul Auster partecipa all’occupazione dell’università americana, vivendo in prima persona la protesta studentesca. Dall’assassinio
di Martin Luther King agli echi della Primavera di Praga, passando per i tumulti di Chicago, si interroga sulle speranze,
le lotte e gli errori della sinistra americana. Testo originariamente pubblicato sul volume MicroMega 1-2/2018 “Sessantotto!”, che qui condividiamo in omaggio al grande scrittore scomparso il 30 aprile 2024.

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.