Ustica e le verità sulla “guerra mediterranea”

L’intervista rilasciata dall’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato ha riacceso il dibattito su Ustica chiamando in causa la Francia. Ma i fatti di Ustica, avvenuti nel cuore del nostro mare, sono parte di una “guerra mediterranea” combattuta su vasta scala dall’Italia da una parte e da Francia e Inghilterra dall’altra, di cui Gheddafi costituiva una pedina importante. A collegare i fatti ci aveva già pensato il giudice Rosario Priore e i risultati delle sue inchieste erano confluiti nel libro del 2010 "Intrigo internazionale. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire", scritto con il giornalista Giovanni Fasanella, che alla ricostruzione della “guerra mediterranea” ha dedicato diversi altri libri. In questo articolo esclusivo per MicroMega+, rimette insieme alcuni fatti.

L’intervista rilasciata da Giuliano Amato a la Repubblica lo scorso 2 settembre su un tema sensibilissimo come la strage di Ustica è un documento di grande importanza. Perché potrebbe avere un impatto decisivo sulla ricerca della verità non solo sulla tragedia aerea che si consumò la sera del 27 giugno 1980 nel cuore del Mediterraneo, ma sull’intera fase della strategia della tensione e degli anni di piombo. Posto che Ustica – come molti pensano – sia un punto di ricaduta interna di conflitti geopolitici che hanno segnato la storia italiana del Secondo dopoguerra. E che il Paese, naturalmente, sappia cogliere l’occasione.

In sostanza, pur con qualche imprecisione dovuta probabilmente a una sovrapposizione di ricordi, Amato ha detto che il Dc 9 Itavia con 81 passeggeri civili a bordo fu abbattuto per errore da un missile sparato da un caccia francese nel corso di una vera e propria azione di guerra aerea. Che l’obiettivo era Gheddafi. Che il premier libico si salvò perché fu avvertito del pericolo da fonti italiane. E che l’intera operazione fu concertata in ambito NATO, quindi quantomeno con il beneplacito dei membri più influenti dell’Alleanza, a cominciare dagli USA. Ha aggiunto che le responsabilità della strage furono coperte dai nostri apparati perché soggetti a un vincolo molto più grande del nostro interesse nazionale. A questo proposito, vale la pena di citare testualmente uno dei passaggi più significativi della sua intervista: “Un apparato costituito da esponenti militari di più Paesi ha negato ripetutamente la verità pensando che il danno sarebbe stato irrimediabile per l’alleanza atlantica e per la stessa sicurezza degli Stati. E quindi tutte queste persone hanno coperto il delitto per ‘una ragion di Stato’, anzi dovremmo dire per ‘una ragion di Stati’ o per ‘una ragion di Nato. Anche il potere politico preferì mantenere un atteggiamento omertoso, che Amato spiega così: “Questo è certo: [la politica] non aveva convenienza a sapere fino in fondo. Che cosa avrebbe potuto significare chiarire subito questa faccenda? O che i politici erano stati complici di un delitto orrendo. O che l’apparato della NATO poteva decidere un atto di guerra in tempo di pace senza prendersi la briga di avvertire il Ministro della Difesa, violando palesemente la nostra sovranità nazionale. Quindi per la politica significava ammettere di non contare niente. In ogni modo la verità risultava scomoda. Ed era meglio lasciarla sepolta”.

Ed eccoci al punto. Certo, per chi si è sempre occupato di queste cose, l’intervista non ha svelato nulla di nuovo. Ha semplicemente rilanciato ipotesi emerse nell’istruttoria del giudice Rosario Priore e sviluppate poi da giornalisti volenterosi. Tuttavia, una novità rilevante c’è. Ed è nel solo fatto che un uomo di Stato abbia parlato. E, parlando, abbia perforato il muro dell’indicibilità. Avallando scenari che fino ad ora erano rimasti relegati dentro i perimetri angusti di inchieste giudiziarie e ricostruzioni giornalistiche a volte frettolosamente liquidate dallo stesso sistema dell’informazione – paradosso tutto italiano – con il marchio infamante del complottismo. La novità purtroppo non è stata colta da tutti. Molti, invece di prendere il buono che c’è nell’intervista, si sono lanciati in spericolate acrobazie alla ricerca di un improbabile perché. Perché solo adesso o proprio adesso

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Libia, un Paese instabile alla mercé degli interessi stranieri

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