Operetta morale sui vaccini

La scienza serve a poco in un mondo senza giustizia. In nove mesi avevano trovato i vaccini contro la peste virale che affliggeva l’umanità. Ma non vissero tutti felici e contenti.

In nove mesi, come una gravidanza, trovarono il vaccino contro la peste virale che affliggeva l’umanità e vissero tutti felici e contenti… No, fermi, non è andata esattamente così, troppo facile. Riportiamo il nastro all’indietro (non si usano più i nastri, è un modo di dire) e ricominciano dall’inizio. 

In natura, quando arriva un virus nuovo di zecca, per il malcapitato ospite è un problema. Il suo sistema immunitario non lo conosce. Non può ricorrere a vaccini già esistenti e modificarli. Con il SARS-CoV-2 si era proprio realizzato questo caso sventurato, ancorché ampiamente previsto dalla scienza nei dieci anni precedenti: un coronavirus, virus a singolo filamento di RNA imparentato con flagelli cugini già noti all’umanità, ma assai più contagioso e con un quadro di sintomi del tutto diverso, si era tranquillamente amplificato nei pipistrelli nei secoli dei secoli (i virus convivono da 65 milioni di anni con i mammiferi volanti, mentre gli umani si aggirano per il pianeta da 200 millenni o poco più), si era ricombinato geneticamente e poi era transitato, forse passando per una specie intermedia o forse direttamente, in Homo sapiens

Fare il salto di specie è il sogno di ogni virus, perché è un parassita obbligato e tracimare in un altro animale è come colonizzare una nuova nicchia ecologica, ricchissima e vergine, come irrompere in una meravigliosa e sterminata prateria di otto miliardi di potenziali ospiti e vettori. Il sogno dei sogni di ogni virus poi, il non plus ultra del loro imperativo darwiniano, è fare il salto di specie e capitare proprio in un mammifero di grossa taglia estremamente mobile, sociale, ammassato per lo più in città, appassionato di voli intercontinentali e improvvidamente avvezzo a tagliare le foreste in cui vivono gli animali portatori dei virus. 

Quindi la pandemia aveva avuto una sua logica precisa, le sue cause remote, ecologiche ed evolutive, descritte puntualmente dalla scienza e totalmente ignorate da chi avrebbe dovuto predisporre misure preventive. Ma si sa che la mente di Homo sapiens ha grosse difficoltà con la prevenzione: non conviene ai politici impegnarsi e spendere risorse affinché qualcosa non succeda. La prevenzione non porta voti alle prossime elezioni, poiché nessuno si accorgerà del peggio evitato. Alcuni economisti eretici avevano in effetti calcolato che la pandemia era costata all’umanità diversi fantatrilioni di dollari, circa mille volte più di quel che sarebbe costata la prevenzione. Ma subito certi altri economisti neoliberisti risposero che andava bene così. Dunque questa pandemia in tempo di scienza non era stata una “calamità naturale”, bensì una calamità umana, sin troppo umana. 

Combinato allora&nbs…

Liberazione del lavoro o dal lavoro?

Il lavoro, nella società capitalista, serve solo secondariamente, anzi accidentalmente, a soddisfare veri bisogni umani. La sua ragion d’essere è la realizzazione del solo e unico scopo della produzione capitalista: trasformare cento euro in centodieci euro e così via. Bisognerebbe quindi abolire molte delle attività che si svolgono oggi, e reinventare le altre. Il che si tradurrebbe anche in molto più tempo a disposizione. Rifiutare il lavoro non significa però non fare niente, bensì valutare – individualmente e collettivamente – quali sforzi si vogliono intraprendere, in vista di quali risultati.

Lavoro digitale e sindacalismo: unire le forze quando si lavora da soli

La disgregazione dei rapporti sociali un tempo intessuti sul luogo di lavoro dovuta alla digitalizzazione e all’avvento di Internet ha avuto una ricaduta anche in termini di diritti e tutele. Lavorando da casa o comunque da remoto, spesso da soli, non è certo facile sentirsi parte di una categoria che condivide interessi e rivendicazioni. Ma, per quanto ci si possa sentire atomi isolati e dispersi, spesso abbandonati da uno Stato che non riesce a stare al passo con le rapide trasformazioni del mondo del lavoro attuale, si ha comunque modo di associarsi e farsi valere. A spiegare come sono Giulia Guida e Lia Bruna della CGIL e Mattia Cavani e Giovanni Campanella di Acta, l’associazione dei freelance.

Il lavoro invisibile delle donne

Se le condizioni del lavoro sono complessivamente peggiorate per tutti negli ultimi decenni in Italia, il lavoro delle donne è stato nettamente il più penalizzato. Costrette dalla maternità (effettiva o potenziale) a scelte sacrificate e di povertà, molte percepiscono un reddito inferiore rispetto a quello maschile, sono precarie, e spesso invisibili.