Israele, la memoria dell’Olocausto usata come arma

La memoria dell’Olocausto, una delle più grandi tragedie dell’umanità, viene spesso strumentalizzata da Israele (e non solo) per garantirsi una sorta di immunità, anche in presenza di violenze atroci come quelle commesse a Gaza nelle ultime settimane. In questo dialogo studiosi dell’Olocausto discutono di come la sua memoria venga impiegata per fini distorti, funzionali alle politiche degli Stati, innanzitutto di quello ebraico. Quattro studiosi ne discutono in un intenso dialogo.

Dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, nel contesto della conseguente guerra di Israele a Gaza, l’Olocausto è stato ampiamente invocato da politici, giornalisti e osservatori di tutto il mondo come analogia e precedente storico. L’attacco di Hamas è stato ampiamente definito “il giorno più esiziale per gli ebrei dai tempi dell’Olocausto”. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha paragonato Hamas ai nazisti e, all’inizio di questa settimana [la discussione si è tenuta il 13 novembre e la trascrizione è stata pubblicata il 29, ndr],* il Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich ha esteso la metafora per applicarla apparentemente a tutti i palestinesi, affermando che ci sono “due milioni di nazisti in Cisgiordania”. In seguito all’attacco, l’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Gilad Erdan ha indossato una stella gialla di David per una sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e a Berlino è stata proiettata la dichiarazione “Never Again Is Now” sulla Porta di Brandeburgo. Non solo gli eventi reali dell’Olocausto vengono utilizzati come analogie per la situazione attuale, ma lo è anche la questione della sua memoria. Un portavoce del governo israeliano, ad esempio, ha affermato che la negazione del massacro del 7 ottobre si tratta di un “fenomeno simile alla negazione dell’Olocausto”, un’affermazione che testimonia una fragile condizione della memoria ebraica manipolando nel contempo l’eredità dell’Olocausto. Tutto ciò viene utilizzato per giustificare morte e distruzione impensabili a Gaza, poiché attualmente il bilancio delle vittime è salito ad almeno 15mila e un milione e 700mila palestinesi sono stati sfollati dalle loro case.

Per discutere riguardo il ruolo della memoria dell’Olocausto negli eventi delle ultime settimane – e la consueta abitudine degli Stati di appropriarsene per perseguire i propri fini – ho parlato con tre studiosi degli aspetti legali, politici e storici del genocidio: Omer Bartov è Professore di studi sull’Olocausto e sul genocidio alla Brown University ed è autore di numerosi libri sul rapporto tra guerra, genocidio e antisemitismo; Jelena Subotić è Professoressa di scienze politiche alla Georgia State University e il suo recente libro, Yellow Star, Red Star, analizza le pratiche di ricordo dell’Olocausto e l’appropriazione della sua memoria nell’Europa orientale dopo la caduta del comunismo; Raz Segal è un Professore di studi sull’Olocausto e sul genocidio presso l’Università di Stockton e il suo lavoro documenta come si è svolto l’Olocausto nella regione dei Carpazi.

Questa conversazione è stata registrata il 13 novembre 2023, durante un evento sponsorizzato da Jewish Currents e Diaspora Alliance, un gruppo internazionale dedito alla lotta all’antisemitismo e alla sua strumentalizzazione. Nella trascrizione sono state apportate modifiche per mitigarne la lunghezza e favorirne la leggibilità.

Linda Kinstler: Omer, come è stata storicamente utilizzata la memoria dell’Olocausto in Israele come parte del discorso nazionale e della costruzione dello Stato israeliano? E come vedi quella storia influenzare la retorica in Israele oggi?

Omer Bartov: In realtà inizierei il nostro discorso a partire da prima dell’Olocausto perché l’antisemitismo e il nazionalismo etnico in Europa sono alcune delle motivazioni alla base del sionismo come movimento nazionale ebraico. La prima comunità ebraica pre-statale in Palestina è stata una risposta ai pogrom e alla violenza contro gli ebrei; ciò era insito nel DNA del sionismo.

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