Nel marzo del 2011 iniziava un tentativo popolare di rovesciamento rivoluzionario del regime siriano degli al-Assad, una dittatura clanica che dura dal 1971, prima con Hafez Assad e successivamente, alla sua morte nel 2000, con il figlio Bashar. Quel tentativo è stato soffocato nel sangue fin dalle prime manifestazioni popolari ed è diventato poi una guerra civile con interventi esterni di potenze globali e regionali, soprattutto Russia e Iran (da marzo 2011 a settembre 2020, l’organizzazione Syrian Network for Human Rights conta oltre 226mila vittime civili, circa 199mila delle quali causate dal regime, 6mila dalle forze russe e 5mila dall’intervento nel conflitto dell’ISIS). Eppure ancora il fuoco cova sotto la cenere e ancora ci sono proteste e manifestazioni dell’opposizione democratica. E ancora resiste l’esperienza di autodeterminazione kurda nel Rojava, che si confronta invece con l’aggressività della Turchia di Erdoğan. Abbiamo intervistato Leila al-Shami, coautrice con Robin Yassin-Kassab di “Burning Country: Syrians in Revolution and War” – probabilmente uno dei testi più interessanti sulla rivoluzione siriana – e attivista democratica ora in esilio. Il testo, purtroppo non tradotto in italiano, a differenza di molti libri sulla Siria che si concentrano sulla geopolitica, sulla sfera internazionale e sull’intervento straniero, racconta le lotte quotidiane e le diverse forme di resistenza creativa delle siriane e dei siriani, ripercorrendo la storia del tentativo rivoluzionario a partire dal racconto di moltissime esperienze di resistenza quotidiana e disegnando la complessità delle relazioni sociali e di potere nella Siria in rivolta (e duramente colpita dalla repressione). Di Leila al-Shami val la pena ricordare lo sferzante articolo di qualche anno fa, ma ancora decisamente contemporaneo, sull’“antimperialismo degli idioti”.
Per quanto ti è dato osservare, qual è la situazione odierna in Siria?
La situazione al momento è semplicemente pessima. È chiaro che il regime di Assad non cadrà nel breve periodo, la rivoluzione nel suo complesso è stata sostanzialmente sconfitta, gli stati della regione si sono mossi con l’intenzione di normalizzare le relazioni con il governo ma, allo stesso tempo, non credo sia più possibile parlare della Siria di Assad perché la realtà è che lui si trova ancora al potere grazie all’intervento di imperialismi stranieri, quello russo e iraniano in particolare. L’Iran stesso sta occupando alcune zone del paese e sta reinsediando alcuni villaggi dove in precedenza viveva la popolazione sunnita, forzatamente sfollata, con cittadini di origine sciita da Libano e Iraq.
Quindi ci sono anche grandi cambiamenti demografici in corso così come grandi cambiamenti culturali in termini di influenze straniere. Sia l’influenza russa che quella iraniana sembrerebbero destinate a durare più del previsto, ed è preoccupante dal mio punto di vista. Altre potenze straniere, che magari non sostengono il regime, sono comunque presenti nell’area con la loro influenza. In più, la Turchia continua a esercitare la propria pressione a nord (Gli Usa e i paesi occidentali non hanno una presenza militare diretta nel paese, ma hanno basi e soldati comunque in medioriente Similmente, paesi come Qatar o Arabia saudita cercano di influenzare i vari gruppi della cosiddetta opposizione, mentre allo stesso tempo hanno ripreso relazioni con il regime, ndr).
La Siria sta insomma rischiando di sprofondare in una completa frammentazione fatta di aree territoriali sotto controllo di soggetti diversi, mentre il regime di Assad di fatto riesce ad avere controllo solo dell’apparato statale. Si tratta di una sorta di paradosso: il regime è salvo e al sicuro ma per certi versi è anche finito, ridotto a essere un simulacro di se stesso. Dopodiché, la situazione sul campo è segnata da una crisi umanitaria catastrofica, l’economia è collassata del tutto, le persone non riescono a procurarsi un lavoro, ci sono pochissime risorse per quanto riguarda cibo e necessità di base. In più, anche se non ne viene data notizia alla televisione, ci sono ancora bombardamenti aerei in corso. In particolare dal 7 ottobre, quando giustamente tutta l’attenzione si è dirottata sulla Palestina, si sono intensificati bombardamenti su Idlib, nel nord-ovest della Siria, una zona ancora controllata da gruppi jihadisti, tra i quali al Quaida. Qui, da diversi mesi, sono in corso proteste popolari…